Un circolo volutamente vizioso

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Noi ten­dia­mo a rite­ne­re vero o vero­si­mi­le tut­to ciò che in qual­che modo ci “risuo­na”. Ma mag­gio­re è il nostro gra­do di mec­ca­ni­ci­tà, meno ciò che sia­mo è rea­le, quin­di meno ciò che ci “risuo­ne­rà” sarà vero.

Vadim Zeland espo­se tem­po fa la “teo­ria dei pen­do­li”, facen­do rife­ri­men­to non pro­cla­ma­to a quel­le che eso­te­ri­ca­men­te ven­go­no defi­ni­te “for­me pen­sie­ro” o anche “eggre­go­re” nel­l’ac­ce­zio­ne di Eli­phas Levi (ovve­ro for­ma pen­sie­ro collettiva).

In poche paro­le sin­te­ti­che e nem­me­no così pre­ci­se, Zeland fa rife­ri­men­to al feno­me­no per cui, quan­do un nume­ro suf­fi­cien­te di per­so­ne “pen­sa” in un cer­to modo, l’e­ner­gia pro­dot­ta dal­la comu­ni­tà por­ta anche altre per­so­ne a pen­sa­re nel­lo stes­so modo. Que­sto acca­de secon­do un anda­men­to perio­di­co a pen­do­lo appun­to, per cui il pen­sie­ro si muo­ve in una dire­zio­ne e poi, al cul­mi­ne, si rove­scia nel suo esat­to opposto.

L’a­na­lo­gia è par­ti­co­lar­men­te uti­le quan­do si voglia capi­re per­chè a momen­ti sto­ri­ci che vedo­no il fio­ri­re, per fare un esem­pio, di una deter­mi­na­ta mora­li­tà, seguo­no sem­pre momen­ti in cui la mora­li­tà pre­ce­den­te si capo­vol­ge ver­so il suo con­tra­rio (si veda ad esem­pio in occi­den­te la nasci­ta del movi­men­to hip­py subi­to dopo il rigo­ro­so mora­li­smo cen­so­rio degli anni ’30-’40-’50). Lo stes­so vale per tut­ti gli ambi­ti del­la “ten­den­za” e del com­por­ta­men­to uma­no di mas­sa: dal­la moda al cine­ma, dal leci­to alla mora­le, dal lega­le al diver­ti­men­to etc. etc.

Altra cosa note­vo­le del­la teo­ria di Zeland è che, quan­do un pen­do­lo si muo­ve con suf­fi­cien­te ener­gia, è impos­si­bi­le per il sin­go­lo o per pic­co­li grup­pi oppor­si ad esso in modo diret­to; come in un pen­do­lo rea­le suf­fi­cien­te­men­te gran­de infat­ti, l’u­ni­co risul­ta­to pos­si­bi­le è quel­lo di esser­ne tra­vol­ti e ritro­var­si appic­ci­ca­ti allo stes­so pendolo.

Ora imma­gi­nia­mo di ave­re un pen­do­lo mol­to pesan­te e dal gam­bo mol­to lun­go. Il movi­men­to sarà velo­ce ma, dato che il gam­bo è lun­go, sarà anche ampio. Se duran­te uno degli archi aggiun­gia­mo spin­ta al peso in dire­zio­ne del movi­men­to, l’o­scil­la­zio­ne diver­rà anco­ra più ampia. In sostan­za, il pen­do­lo acqui­si­rà for­za d’i­ner­zia e ten­de­rà ad oscil­la­re per un tem­po anco­ra più lun­go pri­ma di tor­na­re indietro.

Nel­la real­tà dei movi­men­ti d’o­pi­nio­ne suc­ce­de la stes­sa cosa; quan­do uno sti­le di pen­sie­ro pren­de for­za ed ini­zia quin­di la sua oscil­la­zio­ne in una dire­zio­ne, rac­co­glie sem­pre più per­so­ne che tra­vol­ge lun­go il suo movi­men­to. In più, come è faci­le pen­sa­re, tro­ve­rà anche sin­go­li o grup­pi che spo­sa­no quel pen­sie­ro e que­sto equi­va­le a spin­ge­re il peso nel­la dire­zio­ne del movimento.

Le ana­lo­gie però non fini­sco­no qui. Se pen­sia­mo ad appli­ca­re una spin­ta costan­te in dire­zio­ne late­ra­le, ecco che il pen­do­lo ini­zie­rà a cam­bia­re il suo per­cor­so. Se l’o­scil­la­zio­ne è all’i­ni­zio baste­rà poca spin­ta: un sin­go­lo mil­li­me­tro di spo­sta­men­to per un secon­do all’i­ni­zio del movi­men­to cor­ri­spon­de­rà a metri o chi­lo­me­tri alla fine di esso e non solo: la suc­ces­si­va oscil­la­zio­ne non tor­ne­rà mai più al suo pun­to di ori­gi­ne ini­zia­le ma sarà spo­sta­ta di altret­tan­ta distan­za e que­sto pro­se­gui­rà fino a che l’o­scil­la­zio­ne non avrà fat­to un giro com­ple­to. E’ quel­lo che vie­ne defi­ni­to, in ter­mi­ni di con­di­zio­na­men­to di mas­sa, “fine­stra di Overton”.

Guar­dan­do que­sta inter­pre­ta­zio­ne del­la real­tà dal pun­to di vista del­la leg­ge del­l’ot­ta­va tro­via­mo più o meno la stes­sa cosa, con l’ot­ta­va discen­den­te che gover­na una metà di un’o­scil­la­zio­ne e l’ot­ta­va ascen­den­te che ne gesti­sce la secon­da, men­tre l’in­ter­se­car­si del­le otta­ve pro­du­ce gli spo­sta­men­ti laterali.

La cosa inte­res­san­te di que­sta visio­ne “pen­do­la­re” è che l’e­ner­gia del pen­do­lo del pen­sie­ro si autoa­li­men­ta gra­zie alla mec­ca­ni­ci­tà di noi esse­ri uma­ni che sia­mo sem­pre attrat­ti più da ciò che ci è simi­le rispet­to a ciò che ci è dif­fe­ren­te. Que­sto avvie­ne tan­to più quan­to più l’es­se­re uma­no è mec­ca­ni­co in quan­to, con il pro­gre­di­re del­la “non mec­ca­ni­ci­tà” ci si spo­sta sem­pre di più al di fuo­ri di quel­la che oggi mol­ti ama­no defi­ni­re “com­fort zone” e quin­di ci si sen­te attrat­ti sem­pre di più da ciò che è diverso.

Ma fin­tan­to che sia­mo mec­ca­ni­ci, le for­me pen­sie­ro gene­ra­te dal­la mas­sa avran­no mol­to pote­re su di noi e ten­de­re­mo quin­di a pen­sa­re in modo simi­le ai “grup­pi di mag­gio­ran­za”. Ma non solo, per­chè una for­ma pen­sie­ro non si ali­men­ta uncia­men­te con esso ma anche con gli atti con­se­guen­ti ai pen­sie­ri che l’han­no generata.

Quin­di, per fare un esem­pio, se 10 per­so­ne pen­sa­no “A” e 1000 pen­sa­no “B”, teo­ri­ca­men­te, il pen­sie­ro B dovreb­be domi­na­re; ma se il grup­po del­le “A” si met­te a gri­da­re in con­ti­nua­zio­ne “A è bel­lo, A è figo” e con­tem­po­ra­nea­men­te il grup­po del­le “B” tace, suc­ce­de che chi anco­ra non fa par­te di uno dei due grup­pi ten­de­rà a pen­sa­re che la mag­gio­ran­za è quel­la che pen­sa “A” e quin­di si met­te­rà a pen­sa­re in quel modo.

Nel­la mag­gior par­te dei casi tut­to que­sto è com­ple­ta­men­te incon­scio e il nostro pen­sie­ro si ade­gue­rà in modo pro­gres­si­vo tan­to che le per­so­ne non se ne accor­ge­ran­no (di nuo­vo sia­mo alle fine­stre di Overton)

Ma c’è un altro aspet­to che ci riguar­da da vici­no: l’a­vi­di­tà. Oggi il mon­do è ret­to qua­si esclu­si­va­men­te da que­sta poten­te devia­zio­ne del­l’a­ni­ma e chi vuo­le ven­de­re qua­lun­que cosa, un bene mate­ria­le, un ser­vi­zio o anche un’o­pi­nio­ne (e que­st’ul­ti­ma cate­go­ria è ben più nutri­ta di quan­to si pos­sa imma­gi­na­re), strut­tu­re­rà la pro­pria offer­ta in base a quel­lo che ritie­ne il biso­gno più comu­ne (nel sen­so di fre­quen­te) per mas­si­miz­za­re i profitti.

In ter­mi­ni di pen­do­lo quin­di, nel pub­bli­ciz­za­re i pro­prio pro­dot­ti, andrà ad aggiun­ge­re for­za ai movi­men­ti di opi­nio­ne in quel momen­to pre­do­mi­nan­ti. Se vuo­le ven­de­re qual­co­sa che anco­ra non vie­ne per­ce­pi­to come uti­le, neces­sa­rio o a cui le per­so­ne per qual­che moti­vo non sono sen­si­bi­li, allo­ra cree­rà un pen­do­lo appo­si­to (si chia­ma “crea­zio­ne del biso­gno”) oppu­re, cosa più sem­pli­ce, ne modi­fi­che­rà con poco sfor­zo uno nascen­te che va in una dire­zio­ne simi­le a quel­la che desidera.

In ter­mi­ni pra­ti­ci e per fare un esem­pio bana­le, que­sto è in pic­co­lo quel­lo che avvie­ne quan­do una testa­ta vuo­le spin­ge­re un arti­co­lo met­ten­do le paro­le “…fa impaz­zi­re il web” oppu­re “… tut­ti stan­no facen­do…” etc. etc. In real­tà di quel con­te­nu­to non fre­ghe­reb­be nul­la a nes­su­no ma nel­l’i­stan­te stes­so in cui leg­gia­mo che ci sono tan­te per­so­ne che lo apprez­za­no ecco che sia­mo incu­rio­si­ti e andia­mo a veder­lo. Però non fini­sce qui per­chè, dato che ormai sap­pia­mo che c’è un grup­po nume­ro­so di per­so­ne che lo apprez­za­no, sare­mo incon­scia­men­te por­ta­ti a fare lo stesso.

L’e­sem­pio è bana­le ma le per­so­ne che casca­no in una cosa simi­le sono mol­te di più di quan­te si pos­sa pensare.

Più una per­so­na è mec­ca­ni­ca e più ten­de­rà a con­fon­de­re la real­tà con la pro­pria visio­ne di essa, la giu­sti­zia con la mora­le, la cor­ret­tez­za con il “così fan tutti”.

Pen­sia­mo­ci la pros­si­ma vol­ta che andia­mo a vede­re un film, qua­lun­que film, che pre­ten­de­rà di ritrar­re anche solo un aspet­to del­la real­tà; ci accor­ge­re­mo che più sare­mo “d’ac­cor­do” con il con­te­nu­to e più ci sem­bre­ran­no rea­li­sti­ci non solo la tra­ma, ma anche il modo di com­por­tar­si degli atto­ri, quel­lo che fan­no o come si atteg­gia­no, com­pre­se le emo­zio­ni che esprimeranno.

Solo che, dato che più sia­mo mec­ca­ni­ci più la nostra visio­ne è sog­get­ti­va, non è il con­te­nu­to ad esse­re rea­le ma noi a non esser­lo e ad esser­ci aggrap­pa­ti con anco­ra più for­za al pen­do­lo di passaggio.

Ci si vede in giro!

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