Come cambiare qualcosa dentro di noi

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Mol­te vol­te nel­la nostra vita, arri­via­mo di fron­te a qual­co­sa di noi che non ci pia­ce. Se sia­mo dei ricer­ca­to­ri, il nume­ro di vol­te in cui que­sto acca­de si mol­ti­pli­ca in modo espo­nen­zia­le man mano che la ricer­ca procede.

E’ nor­ma­le, ed è così che deve esse­re. Dato che al nostro inter­no si sta­bi­li­sce sem­pre di più un “IO” sin­go­lo sem­pre più espan­so, nel sen­so che si man­gia tut­ti gli altri, ecco che diven­ta sem­pre più pos­si­bi­le osser­va­re il com­por­ta­men­to di altre par­ti di noi che non ne fan­no par­te, dove per “osser­va­zio­ne” si inten­de l’at­to di “guar­da­re sen­za giu­di­zio” ovve­ro “sen­za l’in­ter­ven­to di un ego che giu­di­ca ciò che si osser­va

Il risul­ta­to è che è un con­ti­nuo vede­re cose di noi che, qua­si sem­pre, non ci piac­cio­no per nul­la. Que­ste par­ti sono fal­se, quan­to­me­no meno vere dell’ ”io” che rie­sce ad osser­var­le. Non van­no cam­bia­te; se ten­tia­mo di cam­biar­le dovre­mo rico­min­cia­re poi tut­to dac­ca­po per­ché que­gli IO che ten­tia­mo di cam­bia­re si tra­ve­sto­no, si mime­tiz­za­no (il com­pli­ce è la men­te) da altro e noi li per­dia­mo di vista.

In que­sto caso, il meto­do è sem­pre (e da sem­pre) lo stes­so e l’u­ni­co fun­zio­nan­te: osser­var­le e basta. Se noi osser­via­mo qual­co­sa, a furia di tene­re quel­la cosa nel­l’oc­chio del­la nostra visio­ne, non potrà sfug­gi­re e non potrà che cam­bia­re da sola (ma non con l’in­ter­ven­to del nostro ego). Non ci cre­de­re­te ma si trat­ta del prin­ci­pio di inde­ter­mi­na­zio­ne di Hei­sen­berg che entra in azione.

Hei­sen­berg, gran­dis­si­mo pio­nie­re del­la fisi­ca quan­ti­sti­ca, un gior­no se ne ven­ne fuo­ri con la sco­per­ta che non è pos­si­bi­le cono­sce­re con­tem­po­ra­nea­men­te posi­zio­ne e velo­ci­tà (in real­tà la quan­ti­tà di moto) di una par­ti­cel­la suba­to­mi­ca per­chè nel­l’i­stan­te in cui noi misu­ria­mo una qual­sia­si di que­ste due pro­prie­tà, l’al­tra diven­ta incer­ta e più cer­chia­mo di esse­re pre­ci­si sul­la pri­ma, più l’in­cer­tez­za sul­la secon­da aumenta.

Que­sto caso, appa­ren­te­men­te bana­le è in real­tà qual­co­sa di estre­ma­men­te impor­tan­te per­chè ci spie­ga qual­co­sa di fon­da­men­ta­le del­la nostra real­tà inter­na e ci da un’in­cre­di­bi­le pos­si­bi­li­tà di cre­sci­ta, ovve­ro quel­la di diri­ge­re il cam­bia­men­to… non facen­do asso­lu­ta­men­te nul­la per farlo.

Atten­zio­ne, non sto dicen­do che il cam­bia­men­to è gover­na­to dal prin­ci­pio di inde­ter­mi­na­zio­ne. Sto dicen­do che il moti­vo per cui esi­ste il prin­ci­pio di inde­ter­mi­na­zio­ne è lo stes­so per cui l’os­ser­va­zio­ne al nostro inter­no è il solo modo per cambiare.

Quan­do incap­pia­mo in un aspet­to qual­sia­si del­la nostra per­so­na­li­tà, è ovvio che quel­l’a­spet­to non ci appar­tie­ne real­men­te dato che, se pos­sia­mo osser­va­re qual­co­sa, signi­fi­ca che quel­la cosa è ester­na all’os­ser­va­to­re (cioè noi) e quin­di non può che esse­re ester­na rispet­to all’ “IO” che osser­va (ecco spie­ga­ta la mas­si­ma eso­te­ri­ca che dice: “Tut­to quel­lo che vedi non sei tu”).

Quin­di per­chè cam­biar­la? Si trat­ta pur sem­pre di un “io” che abbia­mo indi­vi­dua­to e, come tale, si trat­te­rà di un agglo­me­ra­to di emo­zio­ni, pen­sie­ri e carat­te­ri­sti­che mate­ria­li che neces­si­ta­no del­la nostra ener­gia per rima­ne­re in vita.

Ecco, l’os­ser­va­zio­ne pro­du­ce su un “io” lo stes­so effet­to di quan­do si coglie un fio­re: con­ser­ve­rà il pro­prio aspet­to per un po’ di tem­po ma poi, ine­vi­ta­bil­men­te, appassirà.

Coglie­re un “io” sul fat­to è pro­prio come coglie­re un fio­re: lo stac­chia­mo dal­la sua pian­ta (cioè noi) con il sem­pli­ce atto di osser­var­lo (per­chè, come det­to poco sopra, nel­l’i­stan­te in cui osser­via­mo qual­co­sa, quel­la cosa non fa più par­te di noi) e quin­di non potrà che appas­si­re, dopo un cer­to perio­do di tempo.

Al con­tra­rio, se cer­chia­mo di cam­bia­re qual­co­sa, sta­re­mo for­nen­do ener­gia pro­prio a quel­l’a­spet­to che vor­rem­mo cam­bia­re, donan­do­gli quin­di nuo­va lin­fa vita­le che ver­rà uti­liz­za­ta per cre­sce­re, muta­re, tra­ve­stir­si da “noi” ai nostri occhi e quin­di alla fine sfug­gi­re com­ple­ta­men­te alla nostra osser­va­zio­ne. E noi sare­mo un po’ più “noi” e un po’ meno “altro”.

Quin­di ecco il gio­chet­to: per cam­bia­re occor­re non fare nul­la tran­ne osser­va­re ciò che desi­de­ria­mo cam­bia­re. Il muta­men­to, una del­le gran­di costan­ti di que­sto uni­ver­so, farà il resto (pia­ciu­to il para­dos­so? Cam­bia­men­to = costante).

Ci si vede in giro!

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