Il padre e la madre del bimbo morto sono entrambi sotto shock al punto da dover essere ricoverati essi stessi. Il dolore che prova e il rimorso che proverà quest’uomo sono tremendi, e non lo si può di certo invidiare ne, secondo me, condannare più di tanto.
E’ ovvio che non voleva di certo fare del male al piccolo ed è altrettanto ovvio che non si tratta di uno sbandato con problemi di qualche natura. E’ una persona come tante, come tutti.
La meccanicità è da risolvere invece anzi, più che da risolvere, da estirpare.
Quello che è accaduto in questo caso è che la mente ordinaria, con la routine quotidiana ormai codificata quasi a livello genetico, ha completamente eliminato il ricordo di quello che il padre doveva fare, fino alla sera.
Tutto in lui è stato automatico, ogni gesto, ogni istante della giornata sono stati identici a quelli di sempre. Per questo non c’è stato spazio nella memoria per ricordare che il bimbo doveva essere portato all’asilo.
La routine quotidiana che tutti tendono a considerare un male necessario di questi tempi, non è affatto indispensabile, ancor meno necessaria. La routine, ovvero la ripetizione costante di cicli di atti sempre uguali, è quanto di peggio esista, poiché è essa stessa causa principale della meccanicità che produce.
Eseguire una serie di gesti sempre uguali, in assenza di altri stimoli, ma soprattutto in assenza di quella che viene definita presenza, può portare anche a conseguenze estreme come questa.
L’uomo non è di certo da biasimare, quanto l’assurdità della vita che quasi tutti noi tendiamo a condurre. Un’assurdità completa, totale che, come in questo caso, ha portato al sonno coscienziale completo il povero padre piacentino.
La meccanicità non è affatto un male necessario, ma il peggiore dei mali e il più inutile in assoluto.
Al tempo stesso, anche il più difficile da combattere: un nemico agguerrito che, in alcuni casi limite come questi, può portare alla morte di coloro che più amiamo.
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