Il Mahabharata è un indiscusso capolavoro cinematografico di Peter Brook che, per la considerevole mole dell’omonimo poema indiano da cui è tratto, ha richiesto circa sei ore di programmazione.
Ed è veramente impossibile portare su pellicola in tempi minori tutto quello che ha da dire questo maestoso poema epico.
Quest’ultimo infatti è di una mole spaventosamente considerevole, tanto da essere diverse volte più esteso dell’Iliade e dell’Odissea messi assieme, praticamente il più esteso che memoria umana ricordi.
Il Mahabharata con le sue 125.000 strofe di quattro ottonari ciascuna (e diviso in diciotto libri) è considerato un itihasa, cioè una raccolta di storie del passato, e fa parte della tradizione sacra indiana.
La tradizione racconta che questo poema è stato composto dal saggio Vyasa per trasmettere all’umanità, in questa era di Kali (il Kali yuga, cioè un’era di decadenza e di povertà intellettiva, etica e spirituale), le quattro finalità dell’esistenza umana: 1) Kama, passione, desiderio e godimento estetico nel senso più ampio del termine; 2) Artha, ciò che è utile dal punto di vista economico e sociale; 3) Dharma, complesso di regole etiche e spirituali a cui anche Kama e Artha si devono uniformare; e 4) Moksha, la liberazione finale dell’uomo dalle catene dell’ignoranza, dell’illusione e dell’attaccamento alle cose terrene (naturale conseguimento di chi ha pienamente soddisfatto i suoi desideri, coltivato la conoscenza sacra e assolto ai suoi doveri interiori ed esteriori).
Da ciò possiamo quindi capire, nel vedere questo bellissimo film, quanto la guerra fratricida tra Kaurava e Pandava (su cui sia il film che il poema si basano) sia solo un pretesto per trasmettere al “debole” uomo del Kali yuga una minima parte della Scienza Sacra (Brahamadeya) al fine di condurlo sul sentiero dello Yoga e quindi della liberazione finale.
Ciò risulta evidente dalla lettura della Bhagavad-gita (un “poema nel poema” contenuto nel VI libro del Mahabharata, il Bishma-parvan) e nel dialogo mostrato anche nel film, dove il dio Krishna trasmette al suo discepolo Arjuna la summa di tutte le Vie di autorealizzazione esponendogli i differenti tipi di Yoga.
Ma il Mahabharata ha diverse “chiavi di lettura”.
Una di queste paragona il Campo di battaglia di Kurukshetra ai conflitti emotivi e passionali che si svolgono in ognuno di noi, dove solo chi si innalza (o si abbandona) al Sé superiore può trovare la vittoria sulle eterne turbolenze del Mondo Emotivo Inferiore, cioè del regno di Maya (altrimenti detto il Regno Astrale o l’Oceano dell’Illusione).
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