Oggettivo e soggettivo

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Esi­ste una gran­de dif­fe­ren­za tra i due ter­mi­ni: sog­get­ti­vo è il risul­ta­to di una per­ce­zio­ne da par­te del sog­get­to men­tre ogget­ti­vo è ciò che non dipen­de da essa. Per fare un esem­pio: la fra­se “Que­sto piat­to di pasta è buo­nis­si­mo” è una espres­sio­ne sog­get­ti­va. Per con­tro e per quan­to para­dos­sa­le pos­sa sen­bra­re, la fra­se “Que­sto piat­to di pasta mi pia­ce mol­tis­si­mo” è una fra­se già mol­to più oggettiva.

Nel pri­mo caso infat­ti espri­mia­mo una qua­li­tà di qual­co­sa come se la per­ce­pis­si­mo diret­ta­men­te, cosa che non è, men­tre nel secon­do espri­mia­mo una nostra rea­zio­ne a quel­la qua­li­tà, cosa di cui pos­sia­mo ave­re espe­rien­za diretta.

La per­ce­zio­ne che abbia­mo del­la real­tà in uno sta­to ordi­na­rio di coscien­za non può che esse­re sog­get­ti­va. Vie­ne media­ta dai sen­si, tra­sfor­ma­ta in segna­li elet­tro­neu­ra­li e media­ta anco­ra una vol­ta dal cer­vel­lo, che ci pre­sen­ta una situa­zio­ne che a sua vol­ta vie­ne anco­ra media­ta dal sub­con­scio, dal­l’in­con­scio e dal­le emo­zio­ni. Solo alla fine di que­sta lun­ga cate­na di media­zio­ni (e, di con­se­guen­za, inter­pre­ta­zio­ni), noi come indi­vi­dui abbia­mo quel­la che pos­sia­mo chia­ma­re “per­ce­zio­ne”. Risul­ta evi­den­te che quel­lo che cre­dia­mo di vede­re, udi­re, odo­ra­re, gusta­re o toc­ca­re (ma anche capi­re) non ha qua­si mai nul­la a che vede­re con l’og­get­to dei sen­si e del­la com­pren­sio­ne, se non in sen­so estre­ma­men­te gene­ri­co e comun­que arte­fat­to, rico­strui­to, filtrato.

Infat­ti, già pri­ma del pri­mo pas­sag­gio (i sen­si), abbia­mo una distor­sio­ne. La vista, ad esem­pio: ciò che vedia­mo è sem­pre un rifles­so di un ogget­to; la luce lo col­pi­sce e vie­ne rifles­sa in par­te, a secon­da di quan­te e qua­li fre­quen­ze ven­go­no assor­bi­te dal mate­ria­le; per estre­mo, un cor­po per­fet­ta­men­te assor­ben­te non può esse­re visto e appa­ri­rà per­fet­ta­men­te nero per­chè non riflet­te alcu­na luce; potre­mo al mas­si­mo defi­nir­ne il con­tor­no, per con­tra­sto con lo sfon­do: in buo­na sostan­za come se fos­se piat­to. Per di più, l’oc­chio rece­pi­sce un ristret­tis­si­mo cam­po di fre­quen­ze, quel­le del­la luce visi­bi­le appun­to, che non sono che una pic­co­la par­te del­lo spet­tro elet­tro­ma­gne­ti­co, che a sua vol­ta è una par­te minu­sco­la del­lo spet­tro ener­ge­ti­co. Se potes­si­mo vede­re nel­l’in­fra­ros­so e nel­l’ul­tra­vio­let­to, oppu­re in cam­pi di fre­quen­ze più ele­va­ti come le radia­zio­ni alfa, beta e gam­ma, il mon­do appa­ri­reb­be total­men­te e com­ple­ta­men­te diver­so. E anco­ra mol­to più diver­so appa­ri­reb­be se potes­si­mo vede­re in altri cam­pi per­cet­ti­vi (i cosid­det­ti “pia­ni sot­ti­li”). Eppu­re il mon­do è sem­pre lo stes­so di pri­ma, solo che ne vedia­mo una pic­co­lis­si­ma par­te. Lo stes­so vale per l’ol­fat­to, per il gusto e per il tatto.

Quin­di la raf­fi­gu­ra­zio­ne sen­so­ria­le del mon­do che pos­sia­mo far­ci, par­te già mol­to azzop­pa­ta. E poi ci si met­te il cer­vel­lo, che map­pa que­sta raf­fi­gu­ra­zio­ne sul­la base dei pro­pri stru­men­ti cogni­ti­vi, quin­di rie­la­bo­ran­do nuo­va­men­te e rima­neg­gian­do quel poco che gli è arri­va­to. Ma non è fini­ta, per­chè a que­sto pun­to scat­ta tut­ta una serie di fil­tri per­cet­ti­vi che dege­ne­ra­no ulte­rior­men­te l’in­for­ma­zio­ne ori­gi­na­le, por­tan­do alla per­ce­zio­ne di quel­la cosa che noi ci osti­nia­mo a defi­ni­re realtà.

Come già det­to nel post “Le sca­le del­la veri­tà”, l’og­get­ti­vi­tà asso­lu­ta cor­ri­spon­de a tut­ti gli effet­ti con l’es­se­re tut­t’u­no con la veri­tà stes­sa, cosa che, per quan­to pos­si­bi­le, non è gran che pro­ba­bi­le, quan­to­men­to fino a che il nostro per­cor­so evo­lu­ti­vo non giun­ge alla sua com­ple­tez­za, il che ovvia­men­te non può acca­de­re in tem­pi bre­vi. Sem­pre in quel post si descri­ve­va inve­ce il viag­gio del­la nostra per­ce­zio­ne attra­ver­so stra­ti di sem­pre minor sog­get­ti­vi­tà, man mano che si espan­de la nostra capa­ci­tà di percezione.

Det­ta così sem­bra che qua­lun­que espe­rien­za mate­ria­le non pos­sa che esse­re sog­get­ti­va, il che è in par­te vero ma al con­tem­po sba­glia­to. Qua­lun­que espe­rien­za com­po­ne nel­la nostra per­ce­zio­ne due par­ti, una den­tro l’al­tra, se voglia­mo. L’ espe­rien­za in sé è pro­prio quel­la che di fat­to fa da “car­bu­ran­te evo­lu­ti­vo”, nel sen­so che è quel­la che rima­ne in qual­che modo archi­via­ta nel­la par­te più pro­fon­da di noi. Intor­no a que­sto “noc­cio­lo di veri­tà” pos­sia­mo tro­va­re la nostra sog­get­ti­vi­tà che è quel­la che vedia­mo. E’ come se la real­tà fos­se immer­sa al cen­tro di una nuvo­la di neb­bia, che è il nostro modo sog­get­ti­vo di veder­la. Più la nostra per­ce­zio­ne si dila­ta, mag­gio­re è la nostra con­sa­pe­vo­lez­za, più si dira­da lo stra­to di neb­bia che ci nascon­de la verità.

La veri­tà non sta nel­l’al­to dei cie­li ma al cen­tro stes­so del­l’il­lu­sio­ne, per que­sto si dice “sco­pri­re la verità”.

Ecco per­chè da sem­pre e in tut­te le disci­pli­ne rea­liz­za­ti­ve si par­la di ricer­ca “inte­rio­re”: den­tro di noi, sot­to l’il­lu­sio­ne dei sen­si, del­la men­te, del­l’e­mo­ti­vo, del­la psi­che, del­l’in­con­scio, del sub­con­scio, c’è la nostra par­te vera: l’u­ni­ca ogget­ti­va, l’u­ni­ca che può arri­va­re alla veri­tà. Rea­liz­za­re que­sta par­te signi­fi­ca por­ta­re il nostro Esse­re nel­la real­tà, e por­re in Esso la nostra con­sa­pe­vo­lez­za che, fino a che que­sto non avvie­ne, sarà sem­pre più o meno pre­da del famo­so (o fami­ge­ra­to) velo di Maya, ovve­ro dell’illusione.

Dal pun­to di vista per­cet­ti­vo è pro­prio vero che ognu­no di noi crea la pro­pria real­tà, la cui par­zia­le sovrap­po­ni­bi­li­tà con quel­la gene­ra­ta dagli altri esse­ri uma­ni è deter­mi­na­ta dal­la par­te ogget­ti­va del­l’e­spe­rien­za. Ma dal pun­to di vista per­cet­ti­vo si trat­ta di una sovrap­po­ni­bi­li­tà mini­ma: nel 99% del­la per­ce­zio­ne, a sovrap­por­si sono le illu­sio­ni crea­te da leg­gi meccaniche.

Per fare un esem­pio estre­ma­men­te ridut­ti­vo e nep­pu­re del tut­to vali­do, pren­dia­mo un’au­to: la com­bu­stio­ne inter­na, ovve­ro il prin­ci­pio che fa fun­zio­na­re il moto­re, cor­ri­spon­de alla par­te ogget­ti­va. Tut­to il resto, a par­ti­re dal moto­re per fini­re con la car­roz­ze­ria, cor­ri­spon­de alla nostra sog­get­ti­vi­tà. Quel­lo che vedia­mo è solo una car­roz­ze­ria, più o meno bel­la ed ele­gan­te, con i vetri oscu­ra­ti: non vedia­mo chi c’è den­tro l’au­to, ne come sono gli inter­ni ne tan­to­me­no il moto­re e anco­ra di meno la com­bu­stio­ne inter­na che per­met­te all’au­to di muoversi.

Solo un mec­ca­ni­co mol­to in gam­ba sa tut­to di un’au­to, per­chè nel cor­so del­la vita ha impa­ra­to a smon­tar­la dal­l’e­ster­no, fino a poter guar­da­re nei cilin­dri. Però nep­pu­re lui potrà vede­re la “com­bu­stio­ne inter­na”, a meno che, per una qual­che magia, non pos­sa esse­re den­tro al cilin­dro nel momen­to in cui aria e ben­zi­na mesco­la­te esplo­do­no alla scin­til­la del­la candela.

Lo smon­tag­gio del­l’au­to cor­ri­spon­de alla par­te del­la ricer­ca in cui si stu­dia­no le mec­ca­ni­che del­la per­so­na­li­tà. Quel­l’at­to di magia con cui si vede la com­bu­stio­ne nel cilin­dro cor­ri­spon­de alla rea­liz­za­zio­ne di noi stes­si, ovve­ro al momen­to in cui la nostra con­sa­pe­vo­lez­za si pone nel­l’e­sat­to cen­tro del nostro Esse­re e da lì osser­va il mon­do per quel­lo che è veramente.

Da quel pun­to, in quel momen­to, chi cer­ca… dav­ve­ro trova!

Ci si vede in giro!

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