Usare il suono, cioè la vibrazione

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Qual­che tem­po fa scris­si un post in cui par­lai di come il suo­no, spe­cial­men­te quel­lo del­la nostra voce, sia un per­fet­to vet­to­re di ener­gia e, come tale, per­met­ta di mani­fe­sta­re quel­lo che si ha all’in­ter­no, quan­do lo si vuo­le con­di­vi­de­re; ho trat­ta­to un po’ di più que­sto aspet­to nel mio testo Anta­rat­man Yoga – La Magia del Suo­no (se vole­te lo tro­va­te qui: La Magia del Suo­no).

Ogni tan­to qual­cu­no mi chie­de se inse­gno Man­tra Yoga oppu­re Can­to Armo­ni­co. La rispo­sta è: no, non inse­gno ne Man­tra Yoga ne Can­to Armo­ni­co. Quel­lo che fac­cio è usa­re il suo­no per con­di­vi­de­re ciò che ho com­pre­so e fare que­sto con le per­so­ne che par­te­ci­pa­no ai miei incon­tri di pratica.

Quin­di è vero che a vol­te uti­liz­zia­mo dei Man­tra, come è altret­tan­to vero che a vol­te uti­liz­zia­mo il Can­to Armo­ni­co. Ma non è que­sto su cui lavo­ria­mo: que­sto è ciò con cui lavo­ria­mo (e se è per que­sto non è nep­pu­re l’u­ni­co strumento).

Pra­ti­ca­re un Man­tra è qual­co­sa di dav­ve­ro spe­cia­le, direi uni­co, dato tut­to quel­lo che que­sti stru­men­ti por­ta­no con sé; e non ne par­lo a caso dato che una del­le più incre­di­bi­li espe­rien­ze che ho vis­su­to è acca­du­ta pro­prio gra­zie alla pra­ti­ca di un sin­go­lo Man­tra. Tut­ta­via, quel­lo che inten­do dire è che non esi­sto­no solo i Man­tra, o gli armo­ni­ci o il can­to sacro.

Il Suo­no è Vibra­zio­ne; a tut­ti gli effet­ti alla stes­sa stre­gua di quan­to lo sia la Luce. Suo­no e Luce sono di fat­to due fac­ce del­la stes­sa meda­glia, ovve­ro del­la Vibra­zio­ne. Ma una vibra­zio­ne deve ave­re un mez­zo in cui pro­pa­gar­si e per quan­to attie­ne quel­lo di cui stia­mo par­lan­do, que­sto mez­zo è l’e­ner­gia, qual­co­sa che potrem­mo defi­ni­re come “la sostan­za di Dio”. La vibra­zio­ne è quel­la qua­li­tà che si pro­pa­ga sul­l’e­ner­gia, ren­den­do­la quel­la che è, a secon­da del pia­no in cui si mani­fe­sta. Se l’e­ner­gia è la sostan­za, allo­ra la vibra­zio­ne è in qual­che modo la for­ma che essa prende.

Quan­do pra­ti­chia­mo un Man­tra, per fare un esem­pio, lavo­ria­mo sul prin­ci­pio ad esso col­le­ga­to, tra­mi­te la sua for­ma. Quan­do lavo­ria­mo CON il suo­no in modo non carat­te­ri­sti­co, andia­mo ad immer­ger­ci diret­ta­men­te nel­la vibra­zio­ne cor­ri­spon­den­te. Sono due modi di lavo­ra­re diver­si. Non inten­do dire che uno sia meglio del­l’al­tro: sem­pli­ce­men­te, sono diversi.

Usa­re il Suo­no signi­fi­ca che in un dato momen­to, una data emis­sio­ne voca­le por­te­rà a con­tat­to con una dimen­sio­ne inte­rio­re. Da que­sta dimen­sio­ne par­ti­rà una sor­ta di viag­gio che ci por­te­rà ad uno sta­to di coscien­za il qua­le, a sua vol­ta, ci potreb­be per­met­te­re di rea­liz­za­re un prin­ci­pio, un con­cet­to, o anche solo una por­zio­ne di real­tà più dila­ta­ta di quan­to non potes­si­mo fare pri­ma di usa­re quel suono.

In sin­te­si, usa­re il Suo­no signi­fi­ca quel­lo che ho det­to all’i­ni­zio: lavo­ra­re con uno stru­men­to che non ha una con­nes­sio­ne linea­re con il risul­ta­to: ne ha una mul­ti­di­men­sio­na­le con il per­cor­so che dob­bia­mo fare per arri­var­ci. Il con­tat­to diret­to con la vibra­zio­ne ha lo stes­so effet­to che sali­re su un’a­stro­na­ve velo­cis­si­ma: ci depo­si­ta diret­ta­men­te sul­la soglia del­la nostra meta.

Da lì però, ognu­no deve cam­mi­na­re con le pro­prie gam­be, pur­trop­po (o per for­tu­na) da qui non si scappa!

Non è un mira­co­lo e nep­pu­re un modo di bru­cia­re le tap­pe, per­chè la cre­sci­ta non ini­zia pri­ma del­la soglia ma subi­to dopo aver­la varcata.

Ci si vede in giro!

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