Non sempre la propria testa è la migliore fonte di pensiero – parte II

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Nel post pre­ce­den­te abbia­mo visto che esi­ste una gros­sa dif­fi­col­tà nel­l’u­so del­la pro­pria testa per tut­ta una serie di moti­vi. Abbia­mo ana­liz­za­to cosa acca­da nel­le gene­ra­zio­ni di per­so­ne più gio­va­ni, ma abbia­mo det­to che c’è un’al­tra clas­se che subi­sce lo stes­so problema:
si trat­ta del­la clas­se dei “prin­ci­pian­ti” del­la ricer­ca inte­rio­re. Oggi c’è un fio­ri­re incre­di­bi­le di per­cor­si (mi vie­ne il ver­me soli­ta­rio a chia­mar­li così), offer­ti spes­so in buo­na fede, ma che han­no come uni­co risul­ta­to quel­lo di pro­dur­re, nel miglio­re dei casi, una bana­le gra­ti­fi­ca­zio­ne emo­ti­va che non por­ta al ben­ché mini­mo cambiamento.

Una via, un meto­do, un “per­cor­so inte­rio­re” (madon­na i bri­vi­di…) devo­no pro­dur­re un cam­bia­men­to nel­la dire­zio­ne del­la veri­tà. E dun­que non pos­so­no che por­ta­re fuo­ri dal­la cosid­det­ta “com­fort zone” e di con­se­guen­za ver­so nozio­ni, cono­scen­za e tec­ni­che com­ple­ta­men­te sco­no­sciu­te o che comun­que sono fuo­ri dal­la nostra espe­rien­za e che mol­to fre­quen­te­men­te cree­ran­no un disa­gio, o quan­to­me­no uno sfor­zo in una dire­zio­ne che all’i­ni­zio non è dato di conoscere.

Qui usa­re la “pro­pria testa” diven­ta indi­spen­sa­bi­le, ma ritor­nia­mo al pun­to di par­ten­za: se la nostra testa par­te baca­ta, come pos­sia­mo usar­la? Eh beh… qui la fac­cen­da si fa com­ples­sa. All’i­ni­zio la rispo­sta è sem­pli­ce: non pos­sia­mo. O meglio pos­sia­mo ma non per giu­di­ca­re quel­lo che vie­ne pro­po­sto quan­to per vigi­la­re su quel­lo che produce.

Un inse­gna­men­to non deve esse­re dato per scon­ta­to ma vale anche il con­tra­rio: non deve esse­re rifiu­ta­to a prio­ri sem­pli­ce­men­te per­chè va con­tro le nostre cre­den­ze o con­vi­zio­ni. Va valu­ta­to con il buon sen­so ma soprat­tut­to con la pro­va dei fat­ti. Se por­ta ad una cre­sci­ta, in una dire­zio­ne sco­no­sciu­ta, se por­ta fuo­ri dagli sche­mi… va mes­so in pra­ti­ca e poi ne van­no valu­ta­ti i risul­ta­ti, sen­za giu­di­zio, sen­za mora­le e sen­za convinzioni.

L’in­se­gna­men­to vero, pro­du­ce una pro­gres­si­va libe­ra­zio­ne dagli sche­mi pre­co­sti­tui­ti, non solo del­la mora­le e dei con­vin­ci­men­ti ma dei con­di­zio­na­men­ti vigen­ti. E’ ovvio che per far­lo dovrà per for­za anda­re a coz­za­re con­tro quel­lo che abbia­mo sem­pre pen­sa­to esse­re il “giu­sto”; maga­ri non tut­to ma sicu­ra­men­te una buo­na parte.

Ed è per que­sto che un vero inse­gna­men­to non si tro­va così facil­men­te: non ha nul­la di com­mer­cia­le, nel sen­so che non può basar­si su quel­lo che le per­so­ne si aspet­ta­no, ne tan­to­me­no sul­la gra­ti­fi­ca­zio­ne. Un vero inse­gna­men­to deve por­ta­re alla liber­tà ed alla veri­tà: per que­sto andrà sem­pre con­tro lo sta­tus quo del­le per­so­ne che lo rice­vo­no: deve far­lo, altri­men­ti non por­te­rà mai a nes­sun rea­le cam­bia­men­to. Di con­se­guen­za sarà qual­co­sa che non pro­dur­rà feno­me­ni di mas­sa imme­dia­ti, dato che la mag­gior par­te di noi rifug­ge il cam­bia­men­to come la peste.

In pas­sa­to è suc­ces­so, natu­ral­men­te, ma allo­ra la socie­tà non era quel­la di oggi, i mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne, la men­ta­li­tà, la mora­le, l’e­du­ca­zio­ne, la cul­tu­ra, le per­so­ne… per­si­no i cor­pi era­no così diver­si che non ha mol­to sen­so fare paragoni.

Ma quel­lo che impor­ta è dav­ve­ro ren­der­si con­to di quan­to sia lon­ta­no il nostro sta­to da un, anche solo vago, sta­to di pre­sen­za e, natu­ral­men­te, dar­si una mos­sa di conseguenza.

Ci si vede in giro!

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