Lo spazio si percepisce con tre sistemi: i sensi, l’emotivo, l’ego

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Quan­do per­ce­pia­mo uno spa­zio intor­no a noi, non ci ren­dia­mo con­to che entra­no in azio­ne ben tre siste­mi diver­si i qua­li, inte­gran­do­si in modo più o meno cor­ret­to, gene­ra­no quel­la per­ce­zio­ne di noi all’in­ter­no di uno spa­zio qual­sia­si (chiu­so o aper­to non fa gran­de dif­fe­ren­za se non per il fat­to che, come vedre­mo, nel caso del­lo spa­zio chiu­so uno dei tre siste­mi spes­so fun­zio­na male).

I sen­si fisi­ci per­ce­pi­sco­no lo spa­zio intor­no a noi prin­ci­pal­men­te tra­mi­te due di essi: vista e udi­to. La vista rico­strui­sce la pro­fon­di­tà in modo mate­ma­ti­co (la nostra men­te usa un algo­rit­mo sostan­zial­men­te “ana­gli­fi­co” mol­to avan­za­to per fare que­sto), sfrut­tan­do la dif­fe­ren­za ango­la­re tra gli occhi e la rela­ti­va dif­fe­ren­za di visua­le. L’u­di­to non si limi­ta a per­ce­pi­re i rumo­ri, ben­sì anche lo spa­zio che ci sepa­ra da essi. Lo fa ana­liz­zan­do la dif­fe­ren­za tra la per­ce­zio­ne del­lo stes­so suo­no da par­te di entram­be le orec­chie. In qual­che modo anche il tat­to col­la­bo­ra con l’u­di­to, quan­do i suo­ni sono mol­to for­ti, al pun­to da esse­re per­ce­pi­bi­li dal­la nostra super­fi­cie cor­po­rea (in real­tà pra­ti­ca­men­te tut­ti, anche se alcu­ni pro­du­co­no un’im­pres­sio­ne der­mi­ca tal­men­te infi­ni­te­si­ma da esse­re per­ce­pi­bi­le solo a livel­lo inconscio).

L’e­mo­ti­vo per­ce­pi­sce diret­ta­men­te lo spa­zio intor­no a noi, in modo stret­ta­men­te dipen­den­te dal­l’e­span­sio­ne del nostro cam­po auri­co. E’ quel­la che vie­ne defi­ni­ta “per­ce­zio­ne diret­ta”, ed è gene­ra­ta dal­l’in­te­ra­zio­ne tra il nostro cor­po emo­ti­vo e le ema­na­zio­ni ener­ge­ti­che di fre­quen­za vibra­to­ria com­pa­ti­bi­le che riem­pio­no lo spa­zio in questione.
Ogni ogget­to, soprat­tut­to se con­dut­to­re, ha la capa­ci­tà di inte­ra­gi­re con il nostro cam­po emo­ti­vo, seb­be­ne non in modo ecla­tan­te nel­la mag­gior par­te dei casi. La mate­ria viven­te inve­ce, emet­te sem­pre un cam­po ener­ge­ti­co che inte­ra­gi­sce sul pia­no emo­ti­vo con quel­li degli esse­ri viven­ti con cui vie­ne in con­tat­to. In più que­sto tipo di ener­gia ha la capa­ci­tà di “impre­gna­re” vibra­to­ria­men­te mol­ti tipi di mate­ria e di ogget­ti, come gio­iel­li, armi, pie­tre pre­zio­se o metal­li in gene­re e anche altro. Tut­te que­ste inte­ra­zio­ni gene­ra­no quel­lo che potrem­mo defi­ni­re come una sor­ta di cam­po infor­ma­ti­vo (nel sen­so che pas­sa infor­ma­zio­ni in sen­so lato) che noi andia­mo a per­ce­pi­re tra­mi­te il nostro emotivo.

E infi­ne l’e­go: man mano che pas­sa il tem­po, il nostro ego si strut­tu­ra, anche e soprat­tut­to a livel­lo sot­ti­le e in mol­ti casi, può espan­der­si (con o sen­za con­sa­pe­vo­lez­za da par­te del pro­prie­ta­rio) in modo impor­tan­te, andan­do let­te­ral­men­te a satu­ra­re un ambien­te. Dif­fi­ci­le da dige­ri­re, me ne ren­do con­to ma in real­tà è la cosa più faci­le da rico­no­sce­re. Tut­ti imma­gi­no avran­no pro­va­to ad entra­re in un ambien­te che fre­quen­ta­va­no da pic­ci­ni e da cui si sono allon­ta­na­ti in gio­va­ne età (maga­ri una vec­chia casa, per esem­pio). Mol­to spes­so in que­sti casi, la casa in que­stio­ne ci appa­re mol­to più pic­co­la di quan­to non fos­se nei nostri ricordi.
Non è solo una que­stio­ne di dimen­sio­ni fisi­che (era­va­mo più pic­co­li e quin­di le cose appa­ri­va­no più gran­di), anzi, in real­tà que­ste sono pro­prio inin­fluen­ti; quel­lo che pro­du­ce la dif­fe­ren­za di ricor­do è la dimen­sio­ne del­l’e­go, che essen­do in strut­tu­ra­zio­ne nel perio­do del­l’in­fan­zia dove­va espan­der­si per­cen­tual­men­te mol­to di più rispet­to a quan­to deve fare oggi che sia­mo adulti.
Ed è pro­prio que­sto “siste­ma” che va nor­mal­men­te in tilt quan­do ci tro­via­mo in spa­zi aper­ti. Non essen­do in gra­do di satu­rar­li (a quel pun­to lo spa­zio è infi­ni­to), non rie­sce a pas­sa­re l’in­for­ma­zio­ne cor­ret­ta. Nor­mal­men­te in que­sti casi gli altri due siste­mi inter­ven­go­no per com­pen­sa­re ma non ci rie­sco­no appie­no. Da qui nasce, ad esem­pio, la per­ce­zio­ne di “pic­co­lez­za” quan­do si osser­va un cie­lo stel­la­to. Oppu­re, quan­do l’in­te­ra­zio­ne si inca­si­na di più ecco che nasco­no pato­lo­gie come l’a­go­ra­fo­bia, l’at­tra­zio­ne per il vuo­to e altre. Anche la clau­stro­fo­bia (pau­ra degli spa­zi chiu­si) tro­va una del­le sue com­po­nen­ti sca­te­nan­ti pro­prio nel­l’e­go che non riu­scen­do ad espan­der­si quan­to il cam­po emo­ti­vo, invia segna­li assur­di alla nostra mente.

Se pro­via­mo ad esclu­de­re uno o più di que­sti siste­mi con­tem­po­ra­nea­men­te, sco­pri­re­mo un mon­do di per­ce­zio­ni incre­di­bil­men­te biz­zar­re, fino a che non avre­mo impa­ra­to a gesti­re l’in­for­ma­zio­ne che la man­can­za di un sen­so genera.

Ad esem­pio, esclu­den­do l’e­mo­ti­vo, potrem­mo sco­pri­re che il pano­ra­ma che vedia­mo diven­ta improv­vi­sa­men­te “piat­to”, come se lo stes­si­mo veden­do su un gigan­te­sco scher­mo televisivo.

Oppu­re, esclu­den­do vista e udi­to, potrem­mo sco­pri­re che il mon­do che ci cir­con­da diven­ta improv­vi­sa­men­te mol­to più “popo­la­to” di quan­to pensiamo.

E lascian­do che sia solo l’e­go a spe­ri­men­ta­re lo spa­zio, potrem­mo sco­pri­re che sia­mo in gra­do di “per­ce­pi­re” un luo­go da un pun­to di vista del tut­to nuovo.

Pro­va­re per credere

Ci si vede in giro!

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