Il sentire, l’ego e la comprensione. Non sempre vanno d’accordo…

Pren­do spun­to da una stra­fa­mo­sa fra­se del Mae­stro D.H., det­to il Tibe­ta­no, stam­pa­ta all’i­ni­zio di tut­ti i libri del­la Bai­ley. Essa cita testualmente:

Se un inse­gna­men­to susci­ta la rispo­sta del­la men­te illu­mi­na­ta di un lavo­ra­to­re del mon­do, e fa bril­la­re un lam­po d’intuizione, può esse­re accet­ta­to, ma non altri­men­ti. Se quan­to vi si affer­ma fini­rà per esse­re cor­ro­bo­ra­to, e appa­ri­re vero alla luce del­la Leg­ge di Cor­ri­spon­den­za, sarà bene. Ma se ciò non avver­rà, lo stu­den­te non accet­ti quan­to vi si dice.

Mol­to spes­so ho cita­to que­sta fra­se, per cer­ca­re di spie­ga­re come evi­ta­re di cade­re nel­la trap­po­la clas­si­ca di pren­de­re per oro cola­to qua­lun­que cosa ven­ga det­ta dal­la pri­ma per­so­na più o meno cari­sma­ti­ca che si incon­tra su un cam­mi­no di ricerca.

In mol­ti casi però, le per­so­ne ascol­ta­no solo quel­lo che a loro con­vie­ne (o, a voler esse­re otti­mi­sti, quel­lo che rie­sco­no a capi­re) e fini­sco­no per fare un gran casi­no. Vor­rei quin­di cer­ca­re di fare un po’ di chia­rez­za anche su que­sto aspet­to del rap­por­to che pos­sia­mo ave­re con qual­cu­no che ci inse­gna qualcosa.

Innan­zi­tut­to una pre­ci­sa­zio­ne: nel testo che segue ho volu­ta­men­te usa­to il ter­mi­ne “inse­gnan­te”. Ma se anche vole­ste usa­re il ter­mi­ne “Mae­stro” (di ben diver­sa riso­nan­za e pro­fon­di­tà) non cam­bie­reb­be sostan­zial­men­te nul­la. Ma proseguiamo.

Il signi­fi­ca­to del­la fra­se sopra ripor­ta­ta non è uni­co. Anzi, ce ne sono parec­chi uno den­tro l’al­tro, che diven­ta­no chia­ri man mano che la con­sa­pe­vo­lez­za (e di con­se­guen­za la per­ce­zio­ne) di chi la leg­ge si appro­fon­di­sce. E’ chia­ro che il signi­fi­ca­to più ele­men­ta­re può esse­re sin­te­tiz­za­to più o meno in que­sto: “Se un inse­gna­men­to ci tro­va anche solo in par­te in qual­che modo risuo­nan­ti con il suo con­te­nu­to allo­ra que­sto è bene e pos­sia­mo accet­tar­lo, altri­men­ti no”.

In real­tà già a que­sto pri­mo, ele­men­ta­re livel­lo, pos­sia­mo anda­re incon­tro a dei gros­si malin­te­si, dovu­ti essen­zial­men­te alla nostra igno­ran­za ma, soprat­tut­to, al nostro ego. Se è vero infat­ti che stia­mo cer­can­do di cam­bia­re, cre­sce­re, evol­ver­ci inte­rior­men­te, que­sto signi­fi­ca che, a qua­lun­que livel­lo noi sia­mo, ci sia­mo accor­ti che ci man­ca qual­co­sa. Il solo fat­to di accor­ger­ci di que­sta man­can­za impli­ca in real­tà che que­sto “qual­co­sa” in qual­che modo ha una riso­nan­za in noi, gene­ra una rispo­sta. Ma subi­to dopo, media­men­te, casca l’a­si­no, dato che occor­re dav­ve­ro capi­re qua­le par­te di noi si assu­me il dirit­to di deci­de­re se quel­l’in­se­gna­men­to tro­vi o non tro­vi riso­nan­za al nostro interno.

All’i­ni­zio di un cam­mi­no di ricer­ca, non si è infat­ti in pos­ses­so degli stru­men­ti mini­mi neces­sa­ri per valu­ta­re que­sta riso­nan­za. Sia­mo incon­sa­pe­vo­li in modo imba­raz­zan­te, iden­ti­fi­ca­ti con qua­lun­que cosa, il lavo­ro, il son­no, il biso­gno di ripo­sa­re, il gat­to, il cane, la pigri­zia, la schiu­ma emo­ti­va… dun­que da cosa si gene­re­rà quel­la rispo­sta che defi­nia­mo “sen­ti­re”? Ovvia­men­te da qua­si nul­l’al­tro che dal­l’e­go. Ma se il sud­det­to ego è pro­prio quel­la par­te di noi che dob­bia­mo riu­sci­re a ren­de­re nostro stru­men­to, non è for­se vero che all’i­ni­zio altro non è che il nostro padro­ne? E come tale, non è logi­co che fac­cia di tut­to per far­ci “sen­ti­re” sba­glia­to tut­to quel­lo che gli va contro?

Infat­ti que­sto è pro­prio quel­lo che acca­de. Ed è così che un inse­gna­men­to vie­ne per­ce­pi­to come “non adat­to a noi” e quin­di abban­do­na­to men­tre qua­lun­que caz­za­ta sod­di­sfi o anche solo pro­met­ta di gra­ti­fi­ca­re il nostro ego gene­ra un imme­dia­to “si, que­sta cosa mi si adat­ta, quin­di pos­so seguir­la”.

La fra­se del Tibe­ta­no ha mol­ti livel­li di com­pren­sio­ne ma nes­su­no di que­sti pre­su­me che ad appli­car­la sia un prin­ci­pian­te. Essa infat­ti par­la del­la “men­te illu­mi­na­ta di un lavo­ra­to­re del mon­do”. In altre paro­le di qual­cu­no che per­cor­re il sen­tie­ro del­la ricer­ca da abba­stan­za tem­po da esse­re in gra­do di distin­gue­re il vero sen­ti­re che pro­vie­ne dal­le par­ti più pro­fon­de del nostro vero esse­re dal­le pul­sio­ni, per quan­to vesti­te a festa, che inve­ce pro­ven­go­no dal mon­do dora­to del­le identificazioni.

E’ peral­tro vero che il cer­vel­lo va sem­pre tenu­to col­le­ga­to in pre­sen­za di qua­lun­que inse­gna­men­to ma una cosa è cer­ca­re di esse­re sem­pre il più pre­sen­ti pos­si­bi­le, un’al­tra è cre­de­re di pote­re distin­gue­re un inse­gna­men­to “vali­do” da uno che non va bene per noi, quan­do anco­ra sia­mo sostan­zial­men­te dei pop­pan­ti, quan­to­me­no dal pun­to di vista del­la ricerca.

Allo stes­so modo, pre­ten­de­re di giu­di­ca­re un inse­gna­men­to sul­la base di quel­lo che rite­nia­mo pos­sa pro­dur­re, sen­za aver­lo mes­so in atto per il tem­po suf­fi­cien­te, è il clas­si­co erro­re dovu­to alla pre­sun­zio­ne di esse­re in gra­do appun­to di giu­di­ca­re un inse­gna­men­to quan­do il sud­det­to, per esse­re tale, deve esse­re obbli­ga­to­ria­men­te qual­co­sa di total­men­te o comun­que pre­pon­de­ran­te­men­te ester­no alla nostra espe­rien­za.

Il sen­ti­re è qual­co­sa che non va affat­to d’ac­cor­do con l’e­go. Il vero sen­ti­re è un filo tal­men­te sot­ti­le che può esse­re espe­ri­to solo nel caso di una già discre­ta capa­ci­tà di discer­ni­men­to, la qua­le a sua vol­ta si mani­fe­sta dopo un suf­fi­cien­te tem­po pas­sa­to a per­cor­re­re un sen­tie­ro di evoluzione.

In altre paro­le, nel­la stra­gran­de mag­gio­ran­za dei casi, con le clas­si­che quan­to iso­la­te ecce­zio­ni, se sia­mo dei prin­ci­pian­ti e pen­sia­mo di poter deci­de­re in modo auto­no­mo qua­le inse­gna­men­to sia dav­ve­ro adat­to a noi, andre­mo sem­pli­ce­men­te incon­tro, pre­sto o tar­di, pri­ma ad una note­vo­le dose di sof­fe­ren­za e poi, qua­si inva­ria­bil­men­te, al giu­di­zio nei con­fron­ti del­l’in­se­gna­men­to e di chi ce lo for­ni­sce, con il risul­ta­to di abban­do­na­re pri­ma o poi il cam­mi­no in questione.

Que­sto è qua­si un pas­sag­gio obbli­ga­to. Chiun­que voglia che noi si esca dal­lo sta­to di son­no ed incon­sa­pe­vo­lez­za in cui ver­sia­mo, infat­ti non potrà che, pri­ma o poi, met­ter­ci di fron­te ai nostri erro­ri, alle nostre pau­re, alle nostre mise­rie. In una paro­la: alle nostre par­ti più “brut­te” (che noi per­ce­pia­mo come tali ma che chi inse­gna di soli­to per­ce­pi­sce sem­pli­ce­men­te come par­ti inu­ti­li o, anche più fre­quen­te­men­te e sem­pli­ce­men­te, non aven­ti a che vede­re con il nostro vero “noi”). Il fat­to è che il mal­ca­pi­ta­to inse­gnan­te pro­ve­rà qua­si sem­pre “con le buo­ne” a far­ci vede­re quei lati ma noi, pro­prio in quan­to addor­men­ta­ti e sognan­ti, non ci accor­ge­re­mo di nul­la, scam­bian­do quel­le indi­ca­zio­ni per con­fer­me di quan­to in real­tà sia­mo bel­li, bra­vi, fighi etc. etc. Fino a che, se l’in­se­gnan­te è par­ti­co­lar­men­te amo­re­vo­le nei nostri con­fron­ti, ci pian­te­rà una legna­ta sul grop­po­ne (di soli­to, ma non sem­pre, in sen­so figu­ra­to), così for­te che non potre­mo più ignorarla.

A que­sto pun­to si pos­so­no ave­re due pos­si­bi­li­tà. La pri­ma, quel­la che si rea­liz­za più soven­te, è che l’e­go entre­rà imme­dia­ta­men­te in azio­ne e noi ini­zie­re­mo con la clas­si­ca sequen­za di emo­zio­ni; dap­pri­ma un mini­mo di pen­ti­men­to per aver fat­to l’er­ro­re che ci è sta­to evi­den­zia­to, poi il risen­ti­men­to per il modo in cui ce lo han­no evi­den­zia­to (“ma non pote­va sem­pli­ce­men­te dir­lo?” pec­ca­to che ci abbia pro­va­to in alme­no quat­tro lin­gue e sedi­ci occa­sio­ni diver­se sen­za che lo cagas­si­mo di stri­scio) poi la nega­zio­ne del­l’er­ro­re e di con­se­guen­za l’au­to­com­mi­se­ra­zio­ne (ma come, io che ho fat­to tut­to quel­lo che mi ha det­to di fare? Pec­ca­to che in media di tut­to quel­lo che ci vie­ne det­to di fare met­tia­mo in pra­ti­ca si e no l’u­no per cen­to e rego­lar­men­te quel­lo che ci con­vie­ne di più), e dul­cis in fun­do arri­va, imman­ca­bi­le, il giu­di­zio per l’in­se­gnan­te (lui che par­la tan­to di distac­co, di supe­ra­men­to del­le emo­zio­ni, si è incaz­za­to come un’a­do­le­scen­te in embo­lo mestrua­le… ma chi si cre­de di esse­re? Se pro­prio vuo­le inse­gna­re che met­ta lui in pra­ti­ca per pri­mo quel­lo che inse­gna.)

La secon­da, mol­to più rara e che, nei casi più for­tu­na­ti, segue alla pri­ma, è che in un lam­po di com­pren­sio­ne ci accor­gia­mo di quan­to quel­la legna­ta sul grop­po­ne sia sta­ta data con amo­re (e non in pre­da a chis­sà qua­le tem­pe­sta emo­ti­va) nel­l’e­stre­mo ten­ta­ti­vo di far­ci capi­re qual­co­sa che, in mil­le altri modi, non sia­mo mai sta­ti in gra­do di coglie­re. Un ten­ta­ti­vo che, essen­do appun­to estre­mo, ha dovu­to esse­re por­ta­to a fon­do pro­prio nel­l’u­ni­co pia­no che sia­mo in gra­do di coglie­re: quel­lo emotivo.

Di soli­to a que­sto pun­to si fa l’er­ro­re di pro­iet­ta­re la nostra meschi­ni­tà sul­l’in­se­gnan­te, pen­san­do cioè che la sua moda­li­tà fos­se un atto pro­dot­to per otte­ne­re un risul­ta­to. E que­sto, dopo il giu­di­zio, è l’er­ro­re nume­ro due. Chi ci inse­gna a que­sto livel­lo, di soli­to ha anche una visio­ne un po’ diver­sa dal­la nostra. Per­tan­to non agi­sce per tor­na­con­to per­so­na­le; quin­di nel­l’i­stan­te in cui noi ponia­mo una chiu­su­ra nei suoi con­fron­ti, a lui non fre­ga una pro­ver­bia­le favaz­za e pro­se­gue per la sua stra­da (maga­ri con un sin­ce­ro dispia­ce­re uma­no ma con­ti­nue­rà ugual­men­te per la sua strada).

Sta a noi fare il sal­to pro­po­sto (e non richie­sto) e pro­va­re a supe­ra­re l’o­sta­co­lo che ci è sta­to indi­ca­to. Se lo supe­ria­mo, for­se, ritro­ve­re­mo l’in­se­gnan­te sul nostro cam­mi­no e potre­mo per­cor­re­re qual­che altro chi­lo­me­tro in sua com­pa­gnia (sem­pre che lui sia d’ac­cor­do, benin­te­so). Se non lo supe­ria­mo, sem­pli­ce­men­te pro­se­gui­re­mo il nostro moto retro­gra­do ritor­nan­do nel­lo sta­to in cui era­va­mo quan­do abbia­mo ini­zia­to il nostro per­cor­so, set­ti­ma­ne, mesi, anni prima.

P.S.: Con­clu­do que­sto pic­co­lo quan­to “mal­ra­gio­na­to vade­me­cum del per­fet­to allie­vo” con una pre­ci­sa­zio­ne (neces­sa­ria quan­to indi­spen­sa­bi­le per una cer­ta con­ge­rie di let­to­ri): in tut­to quan­to sue­spo­sto si pre­sup­po­ne un allie­vo nei pri­mi sta­di del­l’ap­pren­di­men­to e un inse­gnan­te anco­ra in pos­ses­so di tut­te le facol­tà men­ta­li, emo­ti­ve e cogni­ti­ve del caso; in assen­za di uno o più di que­sti pre­sup­po­sti la pro­spet­ti­va cam­bia dra­sti­ca­men­te. Vede­te quin­di di non trar­re con­clu­sio­ni idio­te… una vol­ta in più!

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