Quando i sensi si confondono

Ci fu un arti­co­lo di Umber­to Eco sul Cor­rie­re, mol­tis­si­mi anni fa, che fu tra i pri­mi ele­men­ti che mi fece scat­ta­re il sospet­to su una, non tan­to even­tua­le, mec­ca­ni­ci­tà del­l’es­se­re uma­no. Nel­l’ar­ti­co­lo, Eco descri­ve­va la sce­na di un auto­mo­bi­li­sta fer­mo al sema­fo­ro che inne­sta l’ac­cen­di­no elet­tri­co dell’auto.

Pas­sa­no alcu­ni secon­di e l’au­to­mo­bi­li­sta pen­sa un po’ ai fat­ti suoi. Poi l’ac­cen­di­no elet­tri­co, aven­do rag­giun­ta la tem­pe­ra­tu­ra cor­ret­ta, scat­ta in posi­zio­ne di estra­zio­ne e… l’au­to­mo­bi­li­sta par­te, ovvia­men­te anco­ra con il sema­fo­ro rosso.

Cos’e­ra suc­ces­so? Sem­pli­ce, il cen­tro moto­re era in atte­sa di un segna­le, ovve­ro il cam­bia­men­to del colo­re del sema­fo­ro, per par­ti­re. La men­te anch’es­sa era in atte­sa di un segna­le, ovve­ro lo scat­to del­l’ac­cen­di­no, per gene­ra­re il gesto del­l’ac­cen­sio­ne del­la sigaretta.

Quan­do l’ac­cen­di­no è scat­ta­to, le due con­di­zio­ni di atte­sa, l’u­na rife­ri­ta al cam­bia­men­to del colo­re del sema­fo­ro, l’al­tra al rumo­re del­lo scat­to del­l’ac­cen­di­no, si sono sovrap­po­ste e il com­por­ta­men­to che è par­ti­to è sta­to quel­lo sbagliato.

Ci sono due ele­men­ti che gene­ra­no con­di­zio­ni di que­sto tipo: il pri­mo è l’at­te­sa. Quan­do sia­mo in atte­sa di qual­co­sa, l’at­ten­zio­ne non adde­stra­ta si pone, appun­to, in atte­sa di qual­co­sa. Gene­ri­ca­men­te, di un cam­bia­men­to nel­lo sta­tus quo, nel­lo sta­to del­le cose.

Il secon­do è l’im­pa­zien­za: in entram­bi i casi, c’e­ra la fret­ta. Da un lato di accen­der­si la siga­ret­ta, dal­l’al­tro di andar via da quel sema­fo­ro (sem­pre fastidioso).

Nel­l’ar­chi­tet­tu­ra del­l’es­se­re uma­no sono “instal­la­ti” diver­si cen­tri, diver­si pun­ti di coor­di­na­men­to di atti­vi­tà. I più sem­pli­ci da osser­va­re sono tre: il cen­tro moto­re, quel­lo emo­ti­vo e quel­lo mentale.

Ovvia­men­te non si trat­ta di strut­tu­re per­fet­ta­men­te fisi­che, pur aven­do in sé stes­se degli orga­ni “ber­sa­glio” peral­tro facil­men­te imma­gi­na­bi­li. Così il cen­tro men­ta­le avrà il cer­vel­lo, quel­lo emo­ti­vo l’in­te­sti­no e quel­lo moto­re la zona del peri­neo. Tut­ta­via non si trat­ta di loca­liz­za­zio­ni rea­li dei cen­tri in que­stio­ne, quan­to di “pun­ti di rifles­so” degli stessi.

In più, giu­sto per com­pli­ca­re la fac­cen­da, ogni cen­tro è divi­so in pia­ni, che repli­ca­no l’in­te­ra strut­tu­ra. Avre­mo così dei sot­to­li­vel­li per ogni cen­tro, cor­ri­spon­den­ti ad una com­po­nen­te del­lo stes­so: moto­re, emo­ti­vo, mentale.

L’ef­fet­to descrit­to nel­l’ar­ti­co­lo di Eco è par­ti­co­la­re, per­chè attie­ne alla mec­ca­ni­ci­tà dei sen­si e, più pro­fon­da­men­te, al fat­to che die­tro tut­ti i sen­si c’è un cer­vel­lo che, mol­to spes­so, com­bi­na dei gran guai.

Nel­l’e­sem­pio del­l’ar­ti­co­lo è faci­le intui­re come ci fos­se­ro due “pro­ces­si” in atte­sa di un input. Entram­bi aspet­ta­va­no una varia­zio­ne per met­te­re in atto un’a­zio­ne. Nel­l’i­stan­te in cui l’at­ten­zio­ne del gui­da­to­re è venu­ta meno, ecco che lo scat­to del­l’ac­cen­di­no e quel­lo del sema­fo­ro che cam­bia colo­re si sono sovrapposti.

Qui abbia­mo quin­di due fat­to­ri fon­da­men­ta­li: il pri­mo è l’e­si­sten­za di siste­mi auto­ma­ti­ci che gover­na­no il nostro com­por­ta­men­to, il secon­do è l’im­por­tan­za del­l’es­ser­ci. Quan­do i pro­ces­si mec­ca­ni­ci sono lascia­ti libe­ri di agi­re, spes­so si otten­go­no risul­ta­ti non volu­ti. Ecco per­chè diven­ta impor­tan­te la figu­ra del­l’es­se­re uma­no che li dovreb­be governare.

Ora, non dovreb­be esse­re dif­fi­ci­le una vol­ta visto que­sto, espan­de­re il con­cet­to non solo ai pro­ces­si moto­ri ma anche a quel­li emo­ti­vi e quin­di a quel­li men­ta­li. In tut­ti que­sti casi infat­ti, la mec­ca­ni­ci­tà è la stes­sa. Le emo­zio­ni che cre­dia­mo di pro­va­re in quan­to libe­ri non sono affat­to tali. E noi sia­mo tut­t’al­tro che libe­ri. Le emo­zio­ni scat­ta­no alla stes­sa stre­gua (mec­ca­ni­ca) del­la rea­zio­ne moto­ria all’ac­cen­di­no o al sema­fo­ro: si trat­ta di auto­ma­ti­smi indot­ti dal­l’e­ster­no. E lo stes­so vale per i pen­sie­ri; il tut­to con­di­to ovvia­men­te da una “sal­sa” di com­ples­si­tà cre­scen­te che sem­pre più dif­fi­cil­men­te ci fa rea­liz­za­re quan­to le nostre rea­zio­ni che rite­nia­mo esse­re così libe­re non lo sia­no affatto.

Se riu­scia­mo ad esse­re one­sti con noi stes­si anche solo per un atti­mo, tut­to que­sto divie­ne evi­den­te. Il gio­co è, a quel pun­to, man­te­ne­re alla men­te quan­to com­pre­so (ovve­ro gli auto­ma­ti­smi che scam­bia­mo per liber­tà) e, da quel pun­to in poi, cer­ca­re di liberarcene.

E’ un po’ un gio­co al mas­sa­cro, me ne ren­do con­to, ma una cosa è cer­ta: la posta in gio­co è estre­ma­men­te ele­va­ta; si trat­ta del­la nostra libertà!

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