Provare una pratica di meditazione… non si può fare in un’ora!

Un arti­co­lo scrit­to sul blog di Anta­rat­man Yoga, sca­tu­ri­to da alcu­ne con­si­de­ra­zio­ni a late­re di una moda che si sta sem­pre più svi­lup­pan­do, quel­la di pre­ten­de­re di poter capi­re se una pra­ti­ca, pro­po­sta in un cor­so o in una serie di even­ti, fa al caso nostro oppu­re no.

Tro­va­te l’ar­ti­co­lo ori­gi­na­le qui. “anta­rat­ma­nyo­ga quel­li che pro­va­no a fare medi­ta­zio­ne per un’o­ra e poi pas­sa­no ad altro

Pro­va­re un cor­so. Beh… non ci vedo nul­la di male, mi pare ovvio. Si pro­va­no i cor­si pri­ma di iscri­ver­si, per non get­ta­re il tem­po ed il dena­ro dal­la fine­stra. Più che d’accordo.

Il pro­ble­ma è… che è un cri­te­rio disfun­zio­na­le. Come si può pen­sa­re di pro­va­re qual­co­sa per un’o­ra e pen­sa­re di deci­de­re se è quel­lo che fa per noi? Non lo capisco.

Qua­lun­que atti­vi­tà anche pura­men­te fisi­ca, richie­de un mini­mo di tem­po per esse­re apprez­za­ta: occor­re capi­re la tec­ni­ca, appro­priar­se­ne e met­ter­la in pra­ti­ca. Il cor­po si deve adat­ta­re… dun­que come si può pre­ten­de­re di giu­di­ca­re in una sola ora se ci pia­ce o se ci fa bene?

Per atti­vi­tà “leg­ger­men­te” più ele­va­te, qua­li la pra­ti­ca del­lo Yoga o del­la Medi­ta­zio­ne, a mag­gior ragio­ne come pos­sia­mo pen­sa­re di esse­re in gra­do di coglier­ne gli effet­ti quan­do ci voglio­no spes­so ben più di pochi mesi anche solo per arri­va­re a scal­fi­re un mini­mo di que­ste “atti­vi­tà”?

Il pro­ble­ma è anco­ra una vol­ta la super­fi­cia­li­tà in cui que­sto mon­do è venu­to a tro­var­si, insie­me all’i­gno­ran­za. Le per­so­ne ini­zia­no a sen­ti­re una traen­za ver­so qual­co­sa che le por­ti ad usci­re dal­lo sta­to in cui si tro­va­no (e que­sto è un bene, mi pare) ma al con­tem­po non han­no la mini­ma idea di quel­lo che dav­ve­ro può farlo.

Ecco allo­ra che il cri­te­rio di valu­ta­zio­ne non è quan­to una cosa sia effi­ca­ce, ma quan­to pos­sa pia­ce­re sog­get­ti­va­men­te. E qui, imman­ca­bil­men­te, casca l’asino.

Se una disci­pli­na ha dav­ve­ro la pos­si­bi­li­tà di cam­bia­re qual­co­sa in noi è ovvio che non lo farà favo­ren­do il modo in cui sia­mo ora. Ergo, se una disci­pli­na “ci pia­ce” dopo solo un’o­ra… i casi sono due: o quel­la disci­pli­na non fa altro che gra­ti­fi­ca­re il nostro ego, oppu­re non abbia­mo anco­ra toc­ca­to nul­la di essa.

Nel pri­mo caso non solo non ci fa bene, anzi… è deci­sa­men­te dan­no­sa! Nel secon­do inve­ce… non dovrem­mo pen­sa­re di esse­re in gra­do di aver capi­to se va bene per noi oppu­re no.

Cer­to, pos­sia­mo deci­de­re se ci pia­ce l’am­bien­te, la per­so­na che ci pro­po­ne la cosa, maga­ri anche se emo­ti­va­men­te non ci ripu­gna… for­se anche per­ce­pi­re in qual­che modo se quel­lo che dice può ave­re un sen­so… ma è fini­ta lì!

Oggi mol­te per­so­ne ini­zia­no a sen­ti­re una traen­za ver­so atti­vi­tà e disci­pli­ne che pos­sa­no in qual­che modo alle­via­re la sof­fe­ren­za o il disa­gio in cui si tro­va­no… ma pro­prio per­chè non cono­sco­no e non san­no qua­si nul­la di quel­lo che impli­ca “toglier­si dal­la sof­fe­ren­za”, fini­sco­no per valu­ta­re erro­nea­men­te quel­lo che fan­no con il risul­ta­to di non otte­ne­re asso­lu­ta­men­te il risul­ta­to di cui sopra.

Cer­to, anda­re ad una con­fe­ren­za e sen­tir­si appa­ga­ti da qual­che rela­to­re che con tono soa­ve ci dice quan­to sia­mo bel­li, buo­ni e bra­vi e quan­to l’u­ni­ver­so sia pie­no di angio­let­ti che non vedo­no l’o­ra di riem­pir­ci di amo­re può anche esse­re pia­ce­vo­le (per qual­cu­no, for­se)… ma non cam­bie­rà mai un solo ato­mo del­la nostra esistenza!

Per cam­bia­re occor­re sfor­zo, pic­co­lo o gran­de che sia. Ma soprat­tut­to, per valu­ta­re se una disci­pli­na è in gra­do di cam­bia­re qual­co­sa nel­la nostra vita occor­re valu­ta­re una cosa: quan­to ci por­ta fuo­ri dal nostro cono­sciu­to. Come logi­ca con­se­guen­za, occor­re valu­ta­re quan­to que­sta disci­pli­na ci impon­ga uno sfor­zo e quan­to que­sto sfor­zo ten­da a pro­dur­re in noi un cam­bia­men­to nel­la dire­zio­ne che desideriamo.

Quan­to det­to sopra è mol­to super­fi­cia­le e appros­si­ma­ti­vo ma già così dovreb­be risul­ta­re ovvio che, più qual­co­sa è in gra­do di pro­dur­re in noi un cam­bia­men­to, più que­sto impli­che­rà uno sfor­zo pro­trat­to nel tempo.

Non esi­ste nul­la, a par­te i mira­co­li, che pos­sa cam­bia­re qual­co­sa den­tro di noi in meno di un’o­ra. Non esi­sto­no meto­di ne, tan­to­me­no, tec­ni­che faci­li per otte­ne­re qual­co­sa di così dif­fi­ci­le come uno sta­to di con­sa­pe­vo­lez­za più elevato!

Solo che noi, figli di que­sti tem­pi così igno­ran­ti e bru­tal­men­te oscu­ri, pre­ten­dia­mo non solo il mira­co­lo, ma pure di poter capi­re se una disci­pli­na fa al caso nostro sen­za nep­pu­re aver­la spe­ri­men­ta­ta per il tem­po suf­fi­cien­te ad acqui­sir­ne le tec­ni­che di base.

Noi voglia­mo tut­to sen­za spen­de­re nul­la. Pre­ten­dia­mo il mira­co­lo sen­za sfor­zo; la pil­lo­la che ti fa pas­sa­re il mal di testa in un momen­to è il model­lo che incon­scia­men­te appli­chia­mo a qua­lun­que cosa.

Ed è anche per que­sto che le cose fan­no così fati­ca a cambiare.

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