I pattern emotivi

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Qual­che tem­po fa scris­si un arti­co­lo sul­le pose emo­ti­ve. Oggi do segui­to a quel­l’ar­go­men­to par­lan­do dei pat­tern emo­ti­vi, ovve­ro que­gli sche­mi pre­co­sti­tui­ti di emo­zio­ni che ci costruia­mo nel cor­so del­la vita.

Essen­do iden­ti­fi­ca­te (al meglio) nel­l’e­mo­ti­vo, mol­te per­so­ne riten­go­no che la vita emo­ti­va sia la mas­si­ma espres­sio­ne rag­giun­gi­bi­le. Se que­sto può esse­re vero per quei casi in cui una strut­tu­ra supe­rio­re all’e­mo­ti­vo non sia sta­ta strut­tu­ra­ta, rima­ne comun­que una com­ple­ta sciocchezza.

Il fat­to che l’es­se­re uma­no spe­ri­men­ti il mon­do emo­ti­vo come mas­si­ma raf­fi­na­zio­ne di ener­gia rag­giun­gi­bi­le non deve indur­re a cre­de­re che lo stes­so emo­ti­vo sia dav­ve­ro il pia­no di con­sa­pe­vo­lez­za più elevato.

E infat­ti le emo­zio­ni mol­to spes­so sono total­men­te mec­ca­ni­che: insor­go­no per moti­vi ester­ni e si pla­ca­no per altret­tan­to ester­ne ragio­ni. E quan­do non sono gli sti­mo­li ester­ni a pro­vo­car­le, ecco che ci pen­sa­no i pen­sie­ri, anche più mec­ca­ni­ci se possibile.

Una cosa diver­ten­te da osser­va­re sono i mil­le modi in cui le emo­zio­ni si con­ca­te­na­no a for­ma­re quel­li che pos­sia­mo defi­ni­re dei veri e pro­pri “pat­tern”, ovve­ro sequen­ze pre­de­ter­mi­na­te, dal­la stes­sa valen­za “pato­lo­gi­ca” dei loro omo­lo­ghi fisici.

Chia­ro che esi­ste un mon­do emo­ti­vo supe­rio­re natu­ra­le, non con­di­zio­na­to, ma è tan­to fuo­ri dal­la por­ta­ta del­l’uo­mo comu­ne quan­to la pos­si­bi­li­tà di volare.

Ritor­nan­do ai nostri pat­tern emo­ti­vi, si trat­ta di sequen­ze fis­se, ricor­ren­ti nel­la nostra vita, che van­no ad iden­ti­fi­ca­re quel­lo che mol­ti chia­ma­no “carat­te­re”. In altre paro­le sono quel­le strut­tu­re, anche mol­to com­ples­se, che deter­mi­na­no in mol­ti casi il nostro com­por­ta­men­to (del tut­to mec­ca­ni­co e con­di­zio­na­to) nel­la nostra vita di tut­ti i giorni.

Iden­ti­fi­ca­re que­sti pat­tern non è sem­pli­cis­si­mo, ma nem­me­no impos­si­bi­le. Si trat­ta sem­pli­ce­men­te di ave­re la pos­si­bil­tà di osser­va­re, anche solo in mini­ma par­te, il pro­prio mon­do emo­zio­na­le, con una, anche qui mini­ma, quan­ti­tà di one­stà ver­so sé stessi.

Un buon modo è osser­va­re una del­le emo­zio­ni nega­ti­ve più comu­ni: la rab­bia. Quan­d’è che ci arrab­bia­mo? Qua­l’è quel­la cosa che ci fa let­te­ral­men­te “par­ti­re l’em­bo­lo”? E quan­do quel­la cosa acca­de nel­la nostra vita, qua­l’è la sequen­za emo­ti­va che innesca?

Per esem­pio, sup­po­nia­mo che uno dei nostri pro­ble­mi sia la pau­ra di non esse­re rico­no­sciu­ti per il nostro valo­re. Una cosa abba­stan­za comu­ne. Quan­do qual­cu­no non si accor­ge di quel­lo che abbia­mo fat­to, o del­la fati­ca che abbia­mo impie­ga­to per fare quel­la cosa, ecco che par­te l’em­bo­lo. Di soli­to la sequen­za è que­sta: pri­ma di tut­to la delu­sio­ne (non ti sei accor­to del mio sfor­zo, tu che mi sei così vici­no) poi c’è il sen­so di soli­tu­di­ne (nem­me­no tu ti ren­di con­to di quan­to sia dif­fi­ci­le la mia vita) dopo­di­ché arri­va­no in suc­ces­sio­ne: malin­co­nia, recri­mi­na­zio­ne e, final­men­te, rabbia.

Una rab­bia che a quel pun­to cre­sce in modo ipe­re­spo­nen­zia­le, men­tre la sequen­za con­ti­nua a ripro­por­si. Di soli­to la cosa cul­mi­na con una sor­ta di cri­si iste­ri­ca, segui­ta poi da un perio­do più o meno lun­go (da qual­che minu­to a qual­che ora) di “visio­ne nera”, con pen­sie­ri del­lo stes­so colo­re, fino a che, esau­ri­ta l’e­ner­gia, il pat­tern si “sval­vo­la” da solo e l’u­mo­re cam­bia. Mal che vada que­sto acca­de al mat­ti­no successivo.

I pat­tern emo­ti­vi non atten­go­no ovvia­men­te sola­men­te il cam­po nega­ti­vo. Anche le emo­zio­ni posi­ti­ve spes­so seguo­no pat­tern pre­fis­sa­ti, solo che que­sti sono meno tea­tra­li e quin­di un po’ più com­ples­si da individuare.

L’im­por­tan­za del ren­der­si con­to del­l’e­si­sten­za di tali pat­tern sta nel fat­to che, più riu­scia­mo a cono­scer­li e rico­no­scer­li, più facil­men­te riu­scia­mo ad inte­ra­gi­re con essi, disat­ti­van­do­li o devian­do­li se necessario.

Secon­do ma non di cer­to meno impor­tan­te fat­to­re è rap­pre­sen­ta­to dal fat­to che ammet­te­re (per evi­den­za dei fat­ti) che le nostre emo­zio­ni sono mec­ca­ni­che è una por­ta per desi­de­ra­re di spe­ri­men­ta­re emo­zio­ni più libe­re, cosa que­sta che può por­ta­re all’i­ni­zio di una ricer­ca che riser­va note­vo­li quan­to pia­ce­vo­li sor­pre­se duran­te il suo dipanarsi.

Infi­ne, impa­ra­re a rico­no­sce­re un pat­tern emo­ti­vo por­ta ad un net­to miglio­ra­men­to del­le nostre pec­che carat­te­ria­li, in quan­to sare­mo pro­gres­si­va­men­te sem­pre più in gra­do di gesti­re le nostre rea­zio­ni emo­ti­ve nega­ti­ve o problematiche.

Cer­to, c’è mol­to di più die­tro a tut­to que­sto ma… meglio comin­cia­re da dove pos­sia­mo esse­re effi­ca­ci, no?

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