Se quello che senti non lo vedi, finisci per non capire.

Un gran­de uomo una vol­ta mi fece nota­re que­sta cosa; se quel­lo che sen­ti dif­fe­ri­sce trop­po da quel­lo che cogli con i sen­si, non capi­sci più un caz­zo. Fino a che ci sei, sei pre­sen­te cioè, que­sta dif­fe­ren­za può esse­re annul­la­ta dal­la ragio­ne, dal­lo sfor­zo di com­pren­sio­ne, in buo­na sostan­za dal desi­de­rio di com­pren­de­re da par­te di chi spe­ri­men­ta que­sto miste­rio­so “gap”.

Ma nel caso in cui a spe­ri­men­tar­lo sia una per­so­na con meno com­pren­sio­ne, o meno voglia di met­ter­la in cam­po (che poi, voglio dire… non è che tut­ti sono tenu­ti a fare sfor­zi di pet­to per com­pren­de­re gli altri. Sareb­be bel­lo fos­se così ma non è che abbia­mo fir­ma­to un con­trat­to…) allo­ra scat­ta­no le dif­fi­den­ze, gli equivoci.

Nei rap­por­ti inter­per­so­na­li que­sto aspet­to vie­ne spes­so sot­to­va­lu­ta­to, come in quel­li di grup­po, in cui il gio­co del­le iden­ti­tà è spes­so “dro­ga­to” da dina­mi­che di sud­di­tan­za stra­ne, a vol­te anche per­ver­se, o da con­ve­nien­ze, cal­co­li e quant’altro.

Il risul­ta­to? Che non ci si capi­sce più. La cura? Esse­re il più pos­si­bi­le se’ stes­si. Il che non signi­fi­ca dare libe­ro sfo­go ai pro­pri istin­ti, ma diven­ta­re sem­pre più con­sa­pe­vo­li di ciò che in noi vera­men­te alber­ga e, con mol­ta sin­ce­ri­tà, met­ter­lo sul piat­to dei rapporti.

Non sto par­lan­do di ester­na­re sem­pre ciò che sen­tia­mo, pro­via­mo o pen­sia­mo. Ester­na­re, mostra­re, com­par­te­ci­pa­re altre per­so­ne dei nostri mon­di inte­rio­ri, a vol­te può esse­re un atto di puro egoi­smo e, in fin dei con­ti, non sem­pre è indi­spen­sa­bi­le o anche solo necessario.

No, quel­lo che inten­do dire è che la dico­to­mia va supe­ra­ta al nostro inter­no; sia­mo noi a dover illu­mi­na­re le nostre zone d’ombra.

A quel pun­to ciò che sia­mo flui­rà sem­pre più como­da­men­te nel nostro esse­re uma­ni e sarà sem­pre meno in con­flit­to con ciò che tra­spa­re dai nostri atti, pen­sie­ri, ope­re ed omis­sio­ni, con buo­na pace di chi ci sta di fron­te che rice­ve­rà segna­li sem­pre meno con­tra­stan­ti, sem­pre più uni­vo­ci e sta­bi­li. Per­si­no il nascon­de­re un pen­sie­ro o uno sta­to d’a­ni­mo sarà un atto “dirit­to”, sincero.

A quel pun­to mol­te del­le dif­fi­col­tà che si spe­ri­men­ta­no ordi­na­ria­men­te nel rap­por­to uma­no non potran­no che ces­sa­re, in quan­to vi sarà una tra­spa­ren­za in noi che ren­de­rà dif­fi­ci­le, se non impos­si­bi­le l’in­stau­rar­si, per quan­to incon­scio, di dub­bi, sospet­ti o incom­pren­sio­ni in chi ci sta di fronte.

In poche paro­le, una vol­ta che si dirà (dav­ve­ro) “Io sono quel­lo che sono”, anche chi ci guar­da potrà dire, più o meno con­sa­pe­vol­men­te, lo stes­so: “Lui (o lei) è quel­lo che è” nul­la di più, nul­la di meno.

Una sor­ta di sin­ce­ri­tà intrin­se­ca, ine­lut­ta­bi­le, che per­met­te­rà final­men­te un vero rap­por­to. Uma­no in tut­ti i sensi.

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Fede

Ben det­to! (che pen­na che hai!)

silvana

giusto..ma è dura.… :nod­pig: