L’intolleranza al cambiamento

La set­ti­ma­na scor­sa, in un bar vici­no a casa, men­tre pren­de­vo un caf­fè, ascol­ta­vo i discor­si dei clien­ti: le fra­si più ricor­ren­ti era­no quel­le sul tem­po e sul­la tem­pe­ra­tu­ra: “Che cal­do che fa”, “Fa trop­po cal­do” e così via, ovvia­men­te in tono di lamentela.

Que­sta mat­ti­na, nel­lo stes­so bar, a distan­za di pochi gior­ni, le fra­si era­no sem­pre sul mede­si­mo argo­men­to ma alla paro­la “cal­do” c’e­ra da sosti­tui­re “fred­do”: “Che fred­do che fa”, “Fa trop­po fred­do per la sta­gio­ne” e anco­ra così via, sem­pre con lamentela.

A par­te il fat­to che il cal­do di que­sti ulti­mi gior­ni era dav­ve­ro ecce­zio­na­le (non che fos­se trop­po… era sem­pli­ce­men­te inso­li­to per il mese di Otto­bre), oggi vera­men­te mi sono fat­to quat­tro risa­te pen­san­do all’i­dio­zia del­la situa­zio­ne: al 7 di Otto­bre entra­vi in un loca­le pub­bli­co e tro­va­vi l’a­ria con­di­zio­na­ta a pal­la. Quat­tro gior­ni dopo, se non fos­se anco­ra vie­ta­to dal­la leg­ge, potre­sti tro­va­re il riscal­da­men­to acceso.

Un’in­tol­le­ran­za alle varia­zio­ni cli­ma­ti­che dav­ve­ro pato­lo­gi­ca che ormai ci cir­con­da da ogni lato!

Eppu­re ricor­do che, quan­do ero bam­bi­no, non sof­fri­vo di cer­to il fred­do o il cal­do: sem­pli­ce­men­te mi vesti­vo come era più indi­ca­to per la sta­gio­ne in cor­so. E nel­le sta­gio­ni inter­me­die mia madre mi inse­gnò a vestir­mi a stra­ti, in modo da poter­mi spo­glia­re o rive­sti­re per ade­guar­mi alla temperatura.

Oggi, a distan­za di tren­t’an­ni da allo­ra, le per­so­ne sem­bra­no aver per­so qual­sia­si capa­ci­tà di rea­gi­re tran­quil­la­men­te ai cam­bia­men­ti del clima.

Eppu­re, a ben vede­re, que­sta intol­le­ran­za nasce secon­do me da ele­men­ti più pro­fon­di. L’in­ca­pa­ci­tà di rea­gi­re a un cam­bia­men­to di tem­pe­ra­tu­ra è secon­do il mio pare­re sem­pli­ce­men­te il risul­ta­to di una chiu­su­ra sem­pre più for­te, sem­pre più pro­fon­da, nei con­fron­ti del­la vita in genere.

L’uo­mo resi­ste al cam­bia­men­to per ragio­ni natu­ra­li: resta­re come si è rap­pre­sen­ta sem­pre la linea di minor resi­sten­za. Eppu­re di que­sti tem­pi, l’im­mo­bi­li­smo, sia inte­rio­re che este­rio­re, è sem­pre più pronunciato.

Lo sta­tus quo deve esse­re man­te­nu­to a tut­ti i costi: si devo­no man­te­ne­re le abi­tu­di­ni, le cosid­det­te “tra­di­zio­ni” (in real­tà solo abi­tu­di­ni vec­chie e rei­te­ra­te nel tem­po che con la tra­di­zio­ne non han­no pro­prio nul­la a che vedere).

E’ un altro segno dei tem­pi moder­ni: la sta­si. E’ sem­pre più dif­fi­ci­le cam­bia­re abi­tu­di­ni (sia in se stes­si come in chi ci cir­con­da). E’ l’e­ner­gia che cala costan­te­men­te, men­tre la super­fi­cia­li­tà, l’a­bi­tu­di­na­rie­tà e la mec­ca­ni­ci­tà trion­fa­no su tut­to e tutti.

E’ l’in­tol­le­ran­za al cam­bia­men­to: quel­la cosa che un mio caris­si­mo ami­co ha defi­ni­to una vol­ta “acce­le­ra­zio­ne ver­so il muro”.

Si, per­chè il cam­bia­men­to è una del­le cer­tez­ze del­la vita. Non esi­ste nul­la che rima­ne ugua­le a se stes­so per sem­pre. Ergo, quan­do il cam­bia­men­to arri­va, se sei ela­sti­co a suf­fi­cien­za fini­sci per caval­car­lo, sfrut­tar­lo o comun­que ade­guar­ti; vice­ver­sa fini­sci per schian­tar­ti­ci contro.

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Ilia

Con­di­vi­do pie­na­men­te, sia il con­te­nu­to che lo sti­le paca­to del pez­zo… :hat:

Andrea

Bel­lis­si­mo post! Con­di­vi­do pienamente.
Una del­le più gran­di fon­ti di sof­fe­ren­za è pro­prio la resi­ste­za al cam­bia­men­to, lo spre­ca­re un mare di ener­gia per trat­te­ne­re ciò che sta andan­do, o oppor­si a ciò che sta arrivando.
E, al con­tra­rio di ciò che ci vie­ne tra­smes­so dai media e dagli “esper­ti”, tro­va­re sem­pre miglo­ri stra­te­gie per pre­ve­ni­re, assi­cu­ra­re, evi­ta­re, pro­teg­ge­re etc. aumen­ta la pau­ra e ci indebolisce.
E il cam­bia­men­to diven­ta fon­te di ansia e fobie… :shit:

Jackill

Post pie­na­men­te veri­tie­ro, da ciò si evin­ce la scar­si­tà degli argo­men­ti uma­ni e non pen­sa­re che sul lavo­ro sia diver­so, la gen­te par­la sem­pre del­le stes­se cose, cal­cio tem­po e più rara­men­te di politica.
Una doman­da: per­chè d’e­sta­te si pos­so­no far anda­re i con­di­zio­na­to­ri a pal­la e inve­ce, per accen­de­re il riscal­da­men­to ci vuo­le un’au­to­ri­za­zio­ne ministeriale ?
La riten­go una stron­za­ta e sopra­tut­to una limi­ta­zio­ne del­la liber­tà personale !