Accontentarsi e adattarsi non sono la stessa cosa

Chi si accon­ten­ta gode, dice il vec­chio adagio.

La real­tà è che si accon­ten­ta lo pren­de sem­pli­ce­men­te nel culo!

Se ti accon­ten­ti sei mor­to. Signi­fi­ca che ti fai basta­re quel­lo che hai a disca­pi­to di ciò che desi­de­ri. Signi­fi­ca che hai ucci­so il desi­de­rio in te e che sei già con un pie­de nel­la fossa.

Riten­go che occor­ra ave­re dav­ve­ro il corag­gio di desi­de­ra­re il meglio per noi stes­si e per colo­ro che amia­mo (non impor­ta quan­ti sia­no). E que­sto per­chè sen­za que­sto corag­gio non abbia­mo nes­su­na ener­gia, nes­sun pote­re, nes­su­na pos­si­bi­li­tà di com­bat­te­re per ciò che vogliamo.

Cosa che in se’ sareb­be già abba­stan­za gra­ve, se non aves­se la con­se­guen­za di toglier­ci anche la voglia di com­bat­te­re per ciò che ci spet­ta di diritto.

Accon­ten­tar­si fa gode­re l’al­tro, non noi. Noi ci ritro­via­mo com­pres­si, fru­stra­ti e, alla fine, soom­ma­men­te incazzati.

Accon­ten­tar­si è un delit­to. Cer­to, non pos­sia­mo sem­pre ave­re ciò che desi­de­ria­mo (al di là del­la illi­cei­tà o meno del­l’og­get­to del desi­de­rio), ma que­sto non ha nul­la a che vede­re con l’accontentarsi.

Saper­si adat­ta­re è una del­le carat­te­ri­sti­che essen­zia­li per la soprav­vi­ven­za, cer­to. Ma saper­si adat­ta­re non signi­fi­ca ces­sa­re di dei­de­ra­re di meglio.

Mi pia­ce­reb­be una Fer­ra­ri ma ho una Pun­to? Ci sono due modi di vive­re que­sta condizione.

Quel­lo che si accon­ten­ta ces­sa di desi­de­ra­re la Fer­ra­ri, anzi alla fine si con­vin­ce che quel­lo di cui ha biso­gno dav­ve­ro è la Pun­to. Ed è con­ten­to del­la sua mac­chi­na, anche se non è quel­la che dav­ve­ro vor­reb­be. Si è “fat­to con­ten­to” da solo.

Quel­lo che si adat­ta usa la Pun­to ben sapen­do che non è quel­lo che vuo­le ma è quel­lo che ha. E non smet­te mai di dire­zio­na­re i pro­pri sfor­zi ver­so l’og­get­to del desiderio.

Accon­ten­tar­si signi­fi­ca rinun­cia­re a rico­no­sce­re il pro­prio desi­de­rio. Quan­do que­sto è rife­ri­to alla mate­ria, gene­ra solo pover­tà e fru­stra­zio­ne. Quan­do inve­ce è rife­ri­to all’in­te­rio­re, allo­ra gene­re la fine del­la vita.

Da quel momen­to in poi rima­ne solo una mera soprav­vi­ven­za, qual­co­sa di mol­to simi­le alla schiavitù.

Voglio la Veri­tà? Bene! Non mi accon­ten­to del­le illu­sio­ni, del quie­to vive­re, del­le cose imper­ma­nen­ti e tran­si­to­rie. Le uso, mi ci adat­to… ma intan­to non smet­to di cer­ca­re quel­la Veri­tà che voglio.

Adat­tar­si e accon­ten­tar­si. Appa­ren­te­men­te la stes­sa cosa.

Nel­la real­tà, la stes­sa dif­fe­ren­za che c’è tra vive­re e morire.

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giovanna

scrit­to mol­to illu­mi­nan­te ed intelligente.ciao franz