Momo. Michael Ende, i misteri del tempo e della legge dell’ottava

Un’o­pe­ra dav­ve­ro par­ti­co­la­re. Deli­ca­ta, ma den­sa di signi­fi­ca­ti e con­cet­ti, espres­si in modo a vol­te crip­ti­co, a vol­te fia­be­sco. Comun­que un lavo­ro den­so di con­te­nu­ti, da par­te di qual­cu­no che ave­va capi­to più che qualcosa.

La sto­ria di Momo, ragaz­zi­na soli­ta­ria che sa ascol­ta­re, che tut­ti ama­no per que­sta ragio­ne. Lei ascol­ta per dav­ve­ro e, pro­prio per que­sto, met­te i pro­pri inter­lo­cu­to­ri davan­ti allo spec­chio, qua­si un cata­liz­za­to­re di con­sa­pe­vo­lez­za, che ren­de chi le par­la rapi­da­men­te con­scio di quel­lo che dice e, di con­se­guen­za, altret­tan­to rapi­da­men­te armonico.

Momo entre­rà in con­tat­to con gli uomi­ni gri­gi, enti­tà desti­na­te a ruba­re il tem­po degli uomi­ni, con­tro cui si scon­tre­rà dura­men­te, con l’a­iu­to di Mastro Hora e di Cas­sio­pea, una tar­ta­ru­ga in gra­do di vede­re il tem­po che ver­rà per la pros­si­ma mezz’ora.

La sto­ria si dipa­na con una tale gra­zia e una tale magi­ca deli­ca­tez­za come rara­men­te si incon­tra nel­le ope­re let­te­ra­rie. Un lin­guag­gio sobrio, ma al con­tem­po estre­ma­men­te dol­ce, che tra­sci­na il let­to­re in un mon­do del tut­to sim­bo­li­co, magi­ca­men­te descrit­to dal­la pen­na magi­stra­le di Ende.

Vi è tut­ta­via una tale evi­den­te chia­rez­za di visio­ne in que­sta sto­ria, da impe­di­re, per chi sa dove guar­da­re, di cre­de­re che anche la mini­ma paro­la pos­sa ave­re alcun­chè di casuale.

I miste­ri del tem­po ven­go­no esplo­ra­ti con una pro­fon­di­tà dav­ve­ro rara, e mol­ti con­te­nu­ti eso­te­ri­ci ven­go­no mes­si pra­ti­ca­men­te a nudo, alla por­ta­ta di chiunque.

La leg­ge del­l’ot­ta­va, spie­ga­ta per­fet­ta­men­te, così come la mul­ti­di­men­sio­na­li­tà del­l’u­ni­ver­so, sono pro­ta­go­ni­ste di diver­si pas­si par­ti­co­lar­men­te inten­si, spar­si qua e là, appa­ren­te­men­te in modo casua­le, ma in real­tà secon­do un pre­ci­so sche­ma espo­si­ti­vo, lun­go l’in­te­ra trama.

“…nel cor­so del­l’u­ni­ver­so ci sono a vol­te dei momen­ti stu­pen­di, momen­ti spe­cia­li ma non uni­ci, in cui tut­te le cose e gli esse­ri fino alle stel­le più lon­ta­ne, ope­ra­no insie­me con una armo­nia ecce­zio­na­le così che può avve­rar­si qual­co­sa che ne pri­ma ne dopo sareb­be pos­si­bi­le. Pur­trop­po gli uomi­ni, in gene­ra­le, non sono capa­ci di far­ne uso e que­sti momen­ti pas­sa­no inosservati”

Que­sto libro va let­to alme­no tre vol­te. La pri­ma con il cuo­re, la secon­da con il cer­vel­lo, la ter­za con i due orga­ni stret­ta­men­te cor­re­la­ti tra loro.

Ma in ogni caso, un libro che non dovreb­be asso­lu­ta­men­te man­ca­re nel­la biblio­te­ca di un ricercatore.

E quin­di gra­zie a Fran­ce­sca che me ne ha fat­to dono, immen­sa­men­te gradito!

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Pirata

Appe­na ter­mi­na­to ‘la cit­tà del­le ombre’ lo leggo.