La paura della morte.

Dicia­mo­ce­lo… Vanes­si è avan­ti milio­ni di anni!

La pau­ra del­la mor­te è una costan­te per l’es­se­re uma­no. Sen­za que­sta pau­ra, mol­te cose cam­bie­reb­be­ro pro­spet­ti­va. Ave­te pre­sen­te quel­le fra­si tipo “mio figlio si ricor­de­rà di me quan­do io non ci sarò più e così io vivrò nel­la sua memo­ria”? Mol­to poe­ti­ca, mol­to auli­ca, come frase.

Ma alla fine si trat­ta di un’im­men­sa stronzata!

Se sei mor­to, il fat­to che qual­cu­no si ricor­di di te non ti darà nuo­va pre­sen­za; caso mai rom­pe­rai i coglio­ni a lui, con­ti­nuan­do a per­pe­tua­re la tua ormai del tut­to vir­tua­le esi­sten­za nei ricor­di (e quin­di nel­le emo­zio­ni) di qual­cu­no che inve­ce, per defi­ni­zio­ne, dovreb­be esse­re libe­ro di far­si i caz­zi suoi.

Il pro­ble­ma del­la mor­te non riguar­da chi se ne va. Qua­lun­que sia l’i­dea che uno ha del­l’al­di­là, qua­lun­que sia la sua cre­den­za reli­gio­sa, il pro­ble­ma del­la mor­te riguar­da solo i vivi. La gen­te ha pau­ra di mori­re ma non per­chè teme di fini­re la pro­pria esi­sten­za o per­chè non sa quel­lo che tro­ve­rà dal­l’al­tra par­te (se non quan­do la fine è ormai dav­ve­ro vicina).

La mor­te fa male per­chè pre­ve­de il distac­co com­ple­to, tota­le e ine­lut­ta­bi­le da tut­ti i pro­pri affet­ti, da qua­lun­que rap­por­to. Nel­le miglio­ri ipo­te­si fa male per­chè si pen­sa alla sof­fe­ren­za di colo­ro che lasceremo.

La sof­fe­ren­za del­la mor­te è tut­ta lì: nel distac­co da chi ci è caro, ma mol­to, mol­to di più nel­la con­sa­pe­vo­lez­za del­la sua sof­fe­ren­za alla nostra dipar­ti­ta. Que­sto, natu­ral­men­te, fino a che non ci distac­chia­mo dav­ve­ro, per anda­re… dove?

I casi sono due: o non c’è un caz­zo e la nostra vita coscien­te fini­sce lì (e in que­sto caso il pro­ble­ma è di chi resta) oppu­re, come di dice nel film “Incon­tri con uomi­ni straor­di­na­ri”, qual­co­sa di noi pas­sa in una qual­che altra dimen­sio­ne. A par­te il fat­to che mi sen­ti­rei seria­men­te di esclu­de­re a prio­ri visio­ni arcai­che qua­li quel­le cat­to­li­che e musul­ma­ne, in quan­to esclu­si­va­men­te antro­po­cen­tri­che e del tut­to mate­ria­li­sti­che, in cosa con­si­sta que­sta altra dimen­sio­ne non rive­ste par­ti­co­la­re importanza.

Ciò che dav­ve­ro con­ta è: la vita ha dav­ve­ro la pos­si­bi­li­tà di fini­re? La mia rispo­sta è: no. E mo’ vi giu­sti­fi­co pure l’affermazione.

Par­to da una con­si­de­ra­zio­ne: ovve­ro che deve per for­za esi­ste­re qual­co­sa che con­ten­ga tut­to quan­to. Una veri­tà asso­lu­ta non può non esi­ste­re. Chia­mia­mo­la Dio, Allah, Jah­ve, o anche sem­pli­ce­men­te veri­tà… qual­co­sa che con­tie­ne tut­to il resto deve per for­za esi­ste­re. A meno che non sia­te que­gli acer­ri­mi soste­ni­to­ri del fat­to che l’U­ni­ver­so esi­sta per caso. Nel qual caso vi chie­do: cosa caz­zo vive­te a fare?

Ma tor­nia­mo alla nostra veri­tà asso­lu­ta. Se è asso­lu­ta signi­fi­ca che nul­la può esi­ste­re al di fuo­ri di essa, altri­men­ti non sareb­be asso­lu­ta. Ergo, qua­lun­que cosa esi­sta deve far par­te obbli­ga­to­ria­men­te di que­sta veri­tà. Com­pre­sa la nostra vita. Ma se nul­la può esse­re al di fuo­ri del­la veri­tà, allo­ra la nostra vita, così come la inten­dia­mo non può esse­re vera, per­chè altri­men­ti, dato che ha un ini­zio ed una fine, sareb­be qual­co­sa di ester­no alla veri­tà (la qua­le, essen­do asso­lu­ta, non ha una fine).

Di con­se­guen­za la nostra vita non può esse­re sepa­ra­ta da qua­lun­que altra vita di que­sto uni­ver­so. Per­si­no l’au­to­co­scien­za di cia­scu­no di noi, alla lun­ga, dev’es­se­re una sor­ta di truc­co, qual­che spe­cie di illu­sio­ne da barac­co­ne. Ma una cosa è cer­ta: se esi­ste una veri­tà asso­lu­ta essa deve com­pren­de­re tut­te le vite di que­sto uni­ver­so, le qua­li non solo sono cosa non sepa­ra­ta dal­la veri­tà, ma nep­pu­re sono cosa sepa­ra­ta tra loro.

Ergo la nostra vita, essen­do par­te del­la veri­tà asso­lu­ta, sem­pli­ce­men­te non può ave­re una fine. Il nostro cor­po si, quel­lo può ave­re una fine (peral­tro solo nel sen­so del­l’or­ga­niz­za­zio­ne del­lo stes­so, dato che gli ele­men­ti com­po­nen­ti sap­pia­mo che ritor­na­no a scor­raz­za­re per il pia­ne­ta). Ma la nostra vita… come può ave­re una fine?

E’ impos­si­bi­le! Per­chè la vita vera è una sola. Ed è una vita infi­ni­ta. Per­chè se fos­se fini­ta non sareb­be vera. Ergo, ciò che ces­sa dev’es­se­re per for­za qual­co­sa di falso. 

Ma se è fal­so, alla fine, si può sape­re che ce ne fre­ga? E’ un’il­lu­sio­ne, una pura fre­ga­tu­ra. Quan­do sognia­mo noi stes­si, non abbia­mo pau­ra che il sogno finisca.

E se la mor­te fos­se dav­ve­ro un pas­sag­gio ver­so dimen­sio­ni di mag­gio­re leg­ge­rez­za? Di libertà?

Fac­cia­mo un caso. Doma­ni arri­va un tizio e vi spa­ra in testa. Voi mori­te (toc­ca­te pure fer­ro) e vi ritro­va­te in un’al­tra dimen­sio­ne. Un posto mera­vi­glio­so, in cui la luce è più luce, l’e­ner­gia è più libe­ra di mani­fe­star­si e di mate­ria­liz­zar­si. Un luo­go in cui le malat­tie non esi­sto­no e nep­pu­re le tas­se (soprat­tut­to l’I­VA). Un luo­go in cui Ber­lu­sco­ni non con­ta un caz­zo e nem­me­no Bersani.

A quel pun­to il tizio che vi ha ucci­so vi fa tor­na­re di nuo­vo qui. In una dimen­sio­ne oscu­ra, in cui i pre­giu­di­zi, l’i­gno­ran­za e l’a­mo­re per il dena­ro sover­chia­no ogni veri­tà, in cui le per­so­ne vivo­no alla stre­gua di ani­ma­li, lavo­ran­do per die­ci ore al gior­no e pas­san­do le rima­nen­ti a dor­mi­re (sognan­do luo­ghi miglio­ri) oppu­re in coda in mac­chi­na, o a pre­oc­cu­par­si per­chè i sol­di non basta­no per arri­va­re a fine mese. Un luo­go in cui la feli­ci­tà è nel­la mag­gior par­te dei casi una rara pau­sa tra due lun­ghi momen­ti di sofferenza.

A quel pun­to avre­ste dav­ve­ro pau­ra del­la mor­te? Oppu­re dire­ste ai vostri cari di non sof­fri­re per voi, per­chè in real­tà gli sfi­ga­ti sono loro che resta­no in que­sto sec­chio di merda?

E allo­ra cos’è che fa dav­ve­ro pau­ra nel­la morte?

La rispo­sta è: l’igno­ran­za del­la veri­tà. Il buio del­la tota­le man­can­za di qua­lun­que con­sa­pe­vo­lez­za su cosa dav­ve­ro sia la mor­te gra­zie anche al fat­to che da mil­len­ni le varie reli­gio­ni par­la­no del­l’in­fer­no e del paradiso.

Pen­sa­te ad un bim­bo che nasce in una stan­za di due metri per due per due di altez­za e che tra­scor­re tut­ta la sua vita in quel­la stan­za. Una stan­za chiu­sa, sen­za fine­stre, in cui ogni tan­to si mate­ria­liz­za del cibo e da cui si sma­te­ria­liz­za­no i rifiu­ti del suo corpo.

Cosa pen­se­rà quel bim­bo, una vol­ta cre­sciu­to sem­pre in quel­la stan­za? Che il mon­do è quel­lo, che è tut­to lì. E lo pen­se­rà per­chè igno­ra l’e­si­sten­za di un altro mon­do al di fuo­ri del­la sua stanza.

Quin­di, per traslato…

Sia­mo sicu­ri di non esser­ci già, all’inferno?

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5 Commenti
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Donatilla

Bel­lis­si­mo Franz …cre­do che la pau­ra per la mor­te sia sopra­tut­to dovu­ta all’at­tac­ca­men­to illu­so­rio del­la pro­pria per­so­na :ham­mer: .

jackill

Franz.….…eccezzionale come sempre,bisognerebbe far­lo capi­re ai vari segua­ci del­le religioni!!!!!!

Pirata

io so che i lega­mi non si rom­po­no con la mor­te di uno dei due…

Silvia
Reply to  Pirata

L’im­ma­gi­ne del bam­bi­no che vive per tut­ta la vita in una stan­za mi rie­vo­ca il mito del­la caver­na di Pla­to­ne, in cui i pri­gio­nie­ri sono inca­te­na­ti dal­la nasci­ta con le spal­le all’u­sci­ta e costret­ti, sen­za poter muo­ve­re nean­che il col­lo, ad osser­va­re la pare­te del­la caver­na sul­la qua­le si riflet­to­no le ombre pro­iet­ta­te dal mon­do ester­no per ope­ra del sole. I pri­gio­nie­ri sono con­vin­ti che quel­le ombre sia­no la real­tà men­tre sono solo l’om­bra del­la real­tà. Inol­tre se uno dei pri­gio­nie­ri riu­scis­se a libe­rar­si e ad usci­re dal­la caver­na, que­sto ver­reb­be ini­zial­men­te acce­ca­to dal sole e vor­reb­be pro­ba­bil­men­te tor­na­re indie­tro al mon­do del­le ombre per­ché gli sono più fami­lia­ri. Se per­se­ve­ras­se nel­la sco­per­ta del­la real­tà ester­na e infi­ne si abi­tuas­se al sole e alla veri­tà, per com­pas­sio­ne cer­che­reb­be di libe­ra­re gli ami­ci rima­sti nel­la caver­na ma, ormai abi­tua­to alla luce, tor­na­to nel­la caver­na, non vedreb­be più nien­te e gli ami­ci non gli cre­de­reb­be­ro e non sareb­be­ro comun­que dispo­sti a ridur­si come lui, acce­ca­to e un po’ fuo­ri di testa, per una pre­sun­ta verità.

Franz
Reply to  Silvia

Il pro­ble­ma è… che pur­trop­po è pro­prio così che andreb­be. Quan­to­me­no oggi…
Buo­na serata!