Lo status symbol, una perversione della vera simbologia.

E’ la trap­po­la in cui mol­ti cado­no: il sim­bo­lo che sosti­tui­sce l’essenza.

La tec­no­lo­gia dovreb­be esse­re uno stru­men­to per rag­giun­ge­re un fine, un ausi­lio anche impor­tan­te, ma sem­pre un mez­zo. Inve­ce negli ulti­mi anni, spe­cial­men­te a livel­lo con­su­mer, vie­ne spes­so con­si­de­ra­ta il fine.

Pos­se­de­re l’ul­ti­mo model­lo di iPho­ne, o l’au­to più avan­za­ta, dovreb­be­ro esse­re uno stru­men­to per il pia­ce­re o il lavo­ro, ma limi­tar­si a questo.

Inve­ce la gran par­te di colo­ro che acqui­sta­no tec­no­lo­gia non lo fan­no per ser­vir­se­ne, quan­to per possederla.

E’ la soli­ta, vec­chia sto­ria: se ho biso­gno di un mez­zo di tra­spor­to, mi basta un’au­to qua­lun­que, non mi ser­ve una ferrari.

Se ho biso­gno di esse­re rag­giun­gi­bi­le mi basta un tele­fo­no qual­sia­si, non devo per for­za pos­se­de­re un iPho­ne infar­ci­to di Apps del tut­to inu­ti­li. Se ho biso­gno di rilas­sar­mi e man­gia­re, mi basta un buon risto­ran­te, non devo per for­za anda­re al Ritz di Parigi.

E’ una cosa chia­ma­ta iden­ti­fi­ca­zio­ne quel­la che por­ta a vole­re a tut­ti costi qual­co­sa che non ci ser­ve ma che noi cre­dia­mo ci rappresenti.

E’ pro­prio que­sto il con­cet­to di “appa­ri­re”, quel­lo nasco­sto die­tro il ter­mi­ne “sta­tus symbol”.

E’ nor­ma­le che una per­so­na indos­si dei sim­bo­li che ne rap­pre­sen­ta­no l’au­to­ri­tà o lo sta­tus all’in­ter­no di un’or­ga­niz­za­zio­ne. Que­sto è un con­cet­to sanis­si­mo, che cre­do sia dif­fu­so pra­ti­ca­men­te in tut­to l’universo.

Quel­lo che non è nor­ma­le è che il sim­bo­lo ser­va da solo a san­ci­re la posi­zio­ne di un indi­vi­duo, sen­za che que­sta sia reale.

Mi spie­go meglio con un esem­pio riduttivo.

Pri­mo caso, quel­lo sano: sono lo sce­rif­fo quin­di indos­so una stel­la che per­met­te anche a chi non mi cono­sce di capi­re che sono il rap­pre­sen­tan­te del­la legge.

Secon­do caso, quel­lo pato­lo­gi­co: non sono un caz­zo di nes­su­no ma vado in giro con un Rolex al pol­so per­chè così la gen­te cre­de che io sia una per­so­na importante.

E’ il con­cet­to di “imma­gi­ne” che sov­vert­te quel­lo di simbolo.

Un sim­bo­lo ser­ve appun­to a “sim­bo­leg­gia­re” qual­co­sa che esi­ste. Inve­ce noi esse­ri uma­ni fac­cia­mo in modo che un sim­bo­lo costrui­sca esso stes­so ciò che non esiste.

Un sim­bo­lo può anche ave­re una sua essen­za, esse­re una por­ta ver­so con­cet­ti, inse­gna­men­ti o sta­ti di per­ce­zio­ne. Può esse­re qual­co­sa che pos­sie­de un suo “pote­re” intrin­se­co cui può ave­re acces­so chi ne entra in possesso.

Ma è sem­pre basa­to su qual­co­sa di rea­le, di esistente.

Noi inve­ce sia­mo riu­sci­ti a fare in modo che qual­co­sa che non esi­ste acqui­sti una sua con­si­sten­za gra­zie ad un simbolo.

Da urlo, direi…

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8 Commenti
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Artos

Sarà sem­pre così? E se i super­sol­di (i sol­di del futo­ro) ver­ran­no dati a chi lavo­ra e li spen­de in un cer­to modo? Vedre­mo. Ciao

Gianluca

Mar­ke­ting…
Influen­za­re l’o­pi­nio­ne pub­bli­ca a pro­prio vantaggio.
E poi si lamen­ta­no che la gen­te pen­sa solo a “pos­se­de­re”, sia­mo sot­to costan­te attac­co da quan­do sia­mo gran­di un soldo.
Non tut­ti arri­va­no a capi­re che è tut­to un mec­ca­ni­smo mar­cio, fat­to appo­sta per incastrarci.
L’im­por­tan­te è “esse­re” se stes­si e andar­ne fieri.

Giuseppe

Cre­do che hai cen­tra­to, Gian­lu­ca, nel­l’af­fer­ma­re che l’im­por­tan­te è “esse­re se stes­si”. Il pun­to è che vivia­mo in una sot­to­cul­tu­ra che non inse­gna ad esse­re se stes­si. Al con­ta­rio, tut­to si fer­ma alla scor­za, alla super­fi­cie (impor­tan­te anch’es­sa, per carità).
Pur­trop­po si ha una visio­ne solo ed esclu­si­va­men­te di super­fi­cie, di appa­ren­za: il bel­l’og­get­to, il bel sede­re, for­ti bicipiti…oggi l’in­te­rio­ri­tà è un buco nero dal qua­le i più si ten­go­no accu­ra­ta­men­te ben lon­ta­ni, per­chè potreb­be­ro sco­pri­re che ciò di cui si rive­sto­no è mol­to disar­mo­ni­co rispet­to a ciò che real­men­te sono in profondità.
Sai com’è, poi c’è il rischio di dover rive­de­re un sac­co di cose su se stessi.

Sciuscia

Bel­lis­si­mo arti­co­lo, un’a­na­li­si impec­ca­bi­le, Franz.

Franz
Reply to  Sciuscia

Ti rin­gra­zio… non mi aspet­ta­vo un com­pli­men­to così. Gra­zie davvero!

Raffaela Danzica

Sono d’ac­cor­do mol­tis­si­mo con que­sta ana­li­si. Aggiun­ge­rei che il pos­ses­so dei sim­bo­li ci pone nel­la con­di­zio­ne di sovrap­por­re e con­fon­de­re l’a­ve­re con l’es­se­re. Si vuo­le ave­re per con­fer­ma­re e dare valo­re alla nostra esi­sten­za. Il pos­ses­so com­pul­si­vo di mac­chi­ne, oro­lo­gi, cel­lu­la­ri di valo­re han­no la fun­zio­ne di riem­pi­re quel vuo­to esi­sten­zia­le sen­za solu­zio­ne. In real­tà più abbia­mo e più desi­de­ria­mo con­fer­ma­re la nostra esi­sten­za, sul bara­tro di una dram­ma­ti­ca soli­tu­di­ne ed infe­li­ci­tà insanabili…

Franz

Asso­lu­ta­men­te, pro­fon­da­men­te, total­men­te d’accordo.
Gra­zie del pas­sag­gio e del commento!

Francesco

Arti­co­lo mol­to interessante 🙂 

Però tro­vo che nel­la gran­de mag­gio­ran­za dei casi lo sta­tus sym­bol sim­bo­leg­gi di neces­si­tà l’ef­fet­ti­va posi­zio­ne socia­le del­l’in­di­vi­duo che l’as­su­me: negli esem­pi del rolex e del­la fer­ra­ri, il loro pos­ses­so dimo­stra una dispo­ni­bi­li­tà eco­no­mi­ca che per­met­te acqui­sti fuo­ri dal­la por­ta­ta di un sala­ria­to che si pren­de mil­le euro al mese facen­do gli straordinari.
L’i­nu­ti­li­tà intrin­se­ca del­l’og­get­to in que­stio­ne non è una pre­ro­ga­ti­va uni­ca­men­te uma­na; basti pen­sa­re ai colo­ri sgar­gian­ti di cer­te spe­cie di uccel­li, che se da un lato li ren­do­no più atraen­ti alle don­ne dal­l’al­tro fan tut­t’al­tro che faci­li­tar­gli la soprav­vi­ven­za, ren­den­do­li più visi­bi­li ai predatori.
Il super­fluo come meto­do di sele­zio­ne gerar­chi­ca e ses­sua­le (per­chè in fon­do sono lega­te, e se uno com­pra una fer­ra­ri è anche o soprat­tut­to per fare il figo con le don­ne) vie­ne tipi­ca­men­te impie­ga­to in natu­ra lad­do­ve le risor­se neces­sa­rie alla vita sono sovrab­bon­dan­ti; quan­do la com­pe­ti­zio­ne per man­gia­re e soprav­vi­ve­re vien meno, si ricor­re al dispen­dio­so super­fluo per il sta­bi­lir­si del­le gerar­chie (ovvia­men­te non volon­ta­ria­men­te ma in base ad un istin­to for­gia­to­si nei seco­li del­l’e­vo­lu­zio­ne – vedi i famo­si com­por­ta­men­ti del­l’uc­cel­lo giardiniere).
Oltre a que­sto c’è un altro mec­ca­ni­smo che fa sì che un sim­bo­lo di sta­to riman­ga effettivo.
Pren­dia­mo un altro paral­le­lo natu­ra­le: la livrea dei pas­se­ri maschi.
Più un pas­se­ro è alto nel­la ‘gerar­chia’, più la pet­to­ri­na nera che ha sul col­lo è lun­ga – e di con­se­guen­za cuc­ca più passere 😛
Ci si potreb­be doman­da­re per­chè un pas­se­ro non pos­sa ‘bara­re’ mostran­do una pet­to­ri­na più lun­ga di quel­lo che gli ‘spet­ta’: sem­bre­reb­be un com­por­ta­men­to pro­dut­ti­vo dal pun­to di vista dar­wi­nia­no, dato che per­me­te­reb­be al pas­se­ro di lascia­re più discen­den­ti nel mondo.
Però la dimo­stra­zio­ne di appar­te­ne­re ad un ran­go ele­va­to com­por­ta anche una mag­gio­re conm­pe­ti­zio­ne da par­te degli altri maschi di ran­go ele­va­to- si potreb­be chia­ma­re una mag­gior pres­sio­ne socia­le- che sul­la lun­ga sareb­be inso­ste­ni­bi­le per il pas­se­ro impostore.
Que­sto mec­ca­ni­smo è pre­sen­te anche nel­l’uo­mo, ma oltre a ciò è sta­to inte­rio­riz­za­to in un sen­to­re istin­ti­vo che rien­tra in quei mec­ca­ni­smi a cui dia­mo il nome di timidezza.
Per ave­re una mag­gior pro­ba­bi­li­tà di suc­ces­so con le don­ne ad un maschio (e nota­te che sem­pre di maschi si par­la quan­do si trat­ta di sta­tus sym­bol…) baste­reb­be addot­ta­re tut­ti quei segna­li este­rio­ri che deno­ta­no un’al­ta posi­zio­ne nel­la gerar­chia uma­na: for­te sicu­rez­za di sè stes­si, vesti­ti costo­si e visto­si dai colo­ri sgar­gian­ti, ecc… ma pur essen­do vir­tual­men­te acces­si­bi­li a mol­ti que­sti riman­go­no pre­clu­si a tan­ti gio­va­ni pro­prio per quel­la timi­dez­za che ser­ve a pre­ve­ni­re la pres­sio­ne socia­le che ne deri­ve­reb­be; pen­sa­te a che dif­fe­ren­za cor­re se in un loca­le alla moda entras­se il figlio di un famo­so indu­stria­le milio­na­rio con una giac­ca ros­sa ed un cap­pel­lo con le pail­let­tes, e se col mede­si­mo abbi­glia­men­to vi entras­se un figlio di una casa­lin­ga ed un pen­sio­na­to con la minima…

Poi per­so­nal­men­te non pro­vo cer­to una gros­sa sim­pa­tia ver­so que­sti mec­ca­ni­smi, ma in fin dei con­ti sono insi­ti nel­la psi­che uma­na e pen­so sia uti­le impa­ra­re ad impa­rar­li e maga­ri conviverci.