Tracce di Profumo. Dispersione – By Valeria

Quan­do ero bam­bi­na rara­men­te acca­de­va: sede­vo sul bor­do del mio let­to, maga­ri in un momen­to di par­ti­co­la­re cal­ma duran­te il qua­le, in fami­glia, ogni altro com­po­nen­te era assor­to in una sua pro­pria atti­vi­tà che anda­va dal­la let­tu­ra di un libro al ripo­si­no pomeridiano.

Il cli­ma (nei miei ricor­di spes­so soleg­gia­to ed esti­vo) e l’inattività del momen­to favo­ri­va­no in me una sor­ta di con­cen­tra­zio­ne nel nul­la fare. Osser­va­vo le vena­tu­re del pavi­men­to in mar­mo come se le stes­si veden­do per la pri­ma vol­ta e, dopo un po’, pro­va­vo qual­co­sa che allo­ra defi­ni­vo “Io sono io”, una sor­ta di rico­no­sci­men­to per il qua­le non tro­va­vo paro­le che potes­se­ro rappresentarlo.

Un sen­tir­mi che pre­scin­de­va dal mio aspet­to fisi­co, dal con­te­sto socia­le, cul­tu­ra­le e per­fi­no sto­ri­co in cui mi veni­vo a tro­va­re. Mi “sen­ti­vo” e basta.

Sen­ti­vo il mio respi­ro flui­re natu­ral­men­te, non era neces­sa­rio por­vi atten­zio­ne per ascol­tar­lo; e altret­tan­to natu­ral­men­te per­ce­pi­vo ogni par­te del mio cor­po, e ogni suo­no pro­ve­ni­re dall’esterno, come se tut­to fos­se sem­pli­ce­men­te “ciò che era”, tut­to flui­va nel tem­po men­tre io mi immer­ge­vo in una osser­va­zio­ne sen­za tempo.

For­se tut­ti noi duran­te l’infanzia abbia­mo spe­ri­men­ta­to simi­li momen­ti. Pur­trop­po, una vol­ta adul­ti, rara­men­te riu­scia­mo a ricordarli.

L’adolescenza e l’età adul­ta mi por­ta­ro­no fuo­ri da que­sta sor­ta di presenza.

Mi lasciai con­vin­ce­re, e quin­di assor­bi­re, dal mon­do “là fuo­ri” che con­ti­nua­men­te offri­va a pie­ne mani sti­mo­li sem­pre nuo­vi di cui nutrir­mi, sedu­cen­ti o spia­ce­vo­li che fossero.

Tec­no­lo­gia e con­su­mi­smo aggiun­ge­va­no altro cari­co di espe­rien­ze con­tri­buen­do ad una sor­ta di “disper­sio­ne”: pro­gram­mi tele­vi­si­vi sem­pre più fre­quen­ti, mez­zi di tra­spor­to sem­pre più dispo­ni­bi­li e rapi­di, cen­tri com­mer­cia­li cari­chi di qua­lun­que bene di con­su­mo, disco­te­che assor­dan­ti. Sti­mo­li pro­ve­nien­ti da tut­te le par­ti e ine­vi­ta­bil­men­te condizionanti.

Un con­ti­nuo stor­di­men­to per la men­te che non ter­mi­na­va di vole­re qual­co­sa e già ave­va posa­to la sua atten­zio­ne su qualcos’altro.

Ma io dov’ero?

Quel­la par­te di me che avreb­be dovu­to con­sa­pe­vol­men­te pren­de­re o lasciar anda­re, saper distin­gue­re fra un vero desi­de­rio e un biso­gno indot­to, l’avevo com­ple­ta­men­te perduta.

Ma, per for­tu­na, non irrimediabilmente.

Cia­scu­no di noi ha sue pro­prie atti­tu­di­ni, e desi­de­ri che gli sono pecu­lia­ri. La vita spes­so offre la pos­si­bi­li­tà di spe­ri­men­ta­re ciò che cor­ri­spon­de a quan­to vibra pro­fon­da­men­te in noi.

La dif­fi­col­tà con­si­ste nel rico­no­sce­re l’eccezionalità quan­do si pre­sen­ta e com­pren­de­re che in quell’istante il “desti­no” ci sta offren­do la rara oppor­tu­ni­tà di vive­re una vita degna di esse­re vissuta.

Ma in mez­zo a tut­ta la con­fu­sio­ne di emo­zio­ni offer­te, di con­di­zio­na­men­ti subi­ti, di richie­ste, di aspet­ta­ti­ve di altri, di ciò che dovrem­mo e non dovrem­mo esse­re, del­le nostre con­vin­zio­ni in meri­to a ciò che è “giu­sto” e ciò che non lo è, come fare a com­pren­de­re? A rico­no­sce­re le “nostre” porte?

Come fare per indi­vi­duar­le? E costrui­re le con­di­zio­ni più favo­re­vo­li per varcarle?

Come distin­gue­re il “nostro tre­no”, fra miliar­di di tre­ni in arri­vo e in par­ten­za ogni giorno?

E come fare per scen­de­re da quel­lo sba­glia­to sen­za far­ci pren­de­re da quel pani­co che ci indur­rà o a fare avven­ta­ti sal­ti nel vuo­to dal tre­no in cor­sa (facen­do­ci un gran male), o a rima­ne­re irri­me­dia­bil­men­te intrap­po­la­ti su quel­la car­roz­za, con il naso incol­la­to al fine­stri­no e il pen­sie­ro rivol­to a ciò che di più impor­tan­te per noi stia­mo lascian­do anda­re per sempre?

Cre­do che solo un vero desi­de­rio infon­da la suf­fi­cien­te for­za e crea­ti­vi­tà neces­sa­rie a pro­dur­re un cam­bia­men­to, a spo­sta­re qual­co­sa col giu­sto equilibrio.

Ma il desi­de­rio può nasce­re solo da una men­te tran­quil­la, limpida.

Nasce da uno spa­zio di silen­zio, duran­te una not­te stel­la­ta, duran­te un’alba quieta.

Non c’è ragio­na­men­to che pos­sa aiu­tar­ci a cat­tu­ra­re quel desiderio.

Il desi­de­rio sor­ge spon­ta­nea­men­te da acque non agi­ta­te, da uno sta­to di cal­ma, di abban­do­no, da una ricer­ca di veri­tà, dal­la sete di esser­ci, di esse­re fie­ri di ciò che siamo.

Esso emer­ge allo­ra ina­spet­ta­to dal fon­do del nostro ocea­no immo­to, come il som­mer­gi­bi­le del Capi­ta­no Nemo, e quan­do rag­giun­ge la super­fi­cie del lago, non potre­mo più men­ti­re a noi stessi.

Potre­mo solo dire­zio­na­re le nostre ener­gie ver­so l’intenzione di espan­der­lo, di com­pren­der­lo e, infi­ne, esau­dir­lo. Ritro­van­do nel­la “giu­sta azio­ne” noi stes­si e un sen­so a tut­te le cose.

Con­di­vi­di

Comments are closed.