Stream of consciousness…

Lo stream of con­sciou­sness era una tec­ni­ca venu­ta alla ribal­ta gra­zie a Joy­ce, scrit­to­re ingle­se dei pri­mi del nove­cen­to, che la impie­gò nel­la ste­su­ra di “Gen­te di Dubli­no”, una del­le sue più gran­di opere.

In que­sta tec­ni­ca si lascia libe­ra la men­te di aggan­cia­re un pen­sie­ro all’al­tro, in un “flus­so di coscien­za” (maga­ri!!!) che scor­re libe­ro, sen­za una deci­sio­ne pre­ci­sa. Ho pen­sa­to di far­ne un esem­pio qui di segui­to. Pro­via­mo, dunque.

Ci ave­te mai fat­to caso che, a vol­te, una cosa che non sie­te mai riu­sci­ti a fare improv­vi­sa­men­te diven­ta di una faci­li­tà bestiale?

Gli esem­pi pos­so­no esse­re tan­ti: smet­te­re di fuma­re, met­ter­si a die­ta, impa­ra­re una lin­gua sco­no­sciu­ta… Tut­te cose che, media­men­te, è abba­stan­za dif­fi­ci­le met­te­re in pie­di ma che ogni tan­to, per gra­zia rice­vu­ta, uno comin­cia e… ZAC! Ci si infi­la che man­co se ne accorge.

Di otta­va for­tui­ta trattasi.

Ovve­ro, in quel momen­to, per quel­la per­so­na, l’e­ner­gia si è mos­sa nel­la dire­zio­ne giu­sta e il pro­ces­so è par­ti­to sen­za che man­co se ne accorgesse.

Il pro­ble­ma, quel­lo vero, è capi­re quan­do caz­zo è che par­te, ‘sta bene­det­ta ottava.

Ecco che allo­ra diven­ta impor­tan­te il con­ti­nua­re a pro­var­ci. Se con­ti­nui a pro­var­ci, pri­ma o poi, qual­co­sa succede.

Ma esi­ste anche un altro moti­vo per non mol­la­re. Il moti­vo è che un’e­ner­gia con­ti­nua­men­te foca­liz­za­ta in un pun­to, pri­ma o poi fini­sce per “per­fo­ra­re” l’i­ner­zia del­la mate­ria e riu­sci­re lad­do­ve non è suc­ces­so nul­la per gior­ni, mesi o anni.

Tut­ta­via, come nel caso del mar­tel­lo che con­ti­nua a pic­chia­re nel muro per far­ci un buco, occor­re che lo stru­men­to non si danneggi.

Per l’es­se­re uma­no, que­sto stru­men­to è… se’ stesso!

Se per fare qual­co­sa che vi sta a cuo­re vi rom­pe­te pri­ma che la cosa sia acca­du­ta, ave­te but­ta­to via voi stes­si. Ma rom­per­si non è la stes­sa cosa che aver pau­ra di rompersi.

Il limi­te oltre al qua­le, ad esem­pio, un musco­lo impe­gna­to in uno sfor­zo rischia di lace­rar­si, è posto mol­to, ma mol­to più in là di quan­to la men­te non ci fac­cia vedere.

Lo stes­so vale per i “musco­li emo­ti­vi” o psi­co­lo­gi­ci: il limi­te di rot­tu­ra di un esse­re uma­no non è gene­ri­ca­men­te a lui noto. Figu­ria­mo­ci a chi guar­da dall’esterno.

La pau­ra di “rom­per­si”, di sof­fri­re, di sba­glia­re… spo­sta sem­pre i nostri limi­ti un bel po’ più vici­ni di quan­to non si pos­sa credere.

Pau­ra che tro­va com­pli­ci­tà nel­la men­te, sem­pre pro­iet­ta­ta nel futu­ro, sem­pre occu­pa­ta a pia­ni­fi­ca­re su tut­ti gli “e se…” che rie­sce ad inventarsi.

“Mai mi fu dato di vede­re un ani­ma­le in cor­do­glio di se’. L’uc­cel­let­to cadrà mor­to di gelo dal ramo pri­ma anco­ra di aver pro­va­to solo un atti­mo di pena per se’ stes­so (D.H. Lawrence)”

Ecco il moti­vo per cui nel regno ani­ma­le è faci­le tro­va­re inten­si­tà; un ani­ma­le è sem­pre “tut­to lì” non va mai nel futu­ro, e non resta nel pas­sa­to. Quan­do ha pau­ra, lo fa a ragion vedu­ta, non per­chè pre­ve­de di poter esse­re dan­neg­gia­to, ma per­chè sa che lo sarà se per­si­ste in quel­lo che fa.

Lo sa, capi­te? Non lo immagina!

Noi imma­gi­nia­mo tan­to spes­so la nostra vita da non ren­der­ci con­to di quan­to imma­gi­nia­mo il nostro futu­ro sem­pre più pros­si­mo, sem­pre più vici­no al pre­sen­te, fin­tan­to che il futu­ro imma­gi­na­rio e il pre­sen­te ricor­da­to si fon­do­no in uni­co, ster­mi­na­to sogno.

Da cui, media­men­te, quan­do ci ride­stia­mo è per­chè sia­mo arri­va­ti alla fine di un’e­si­sten­za del tut­to inu­ti­le, in cui abbia­mo sof­fer­to per squa­dre di cal­cio che han­no per­so, don­ne che non ci han­no volu­to, lavo­ri per cui non abbia­mo rice­vu­to suf­fi­cien­te gratificazione…

Ma ci ren­dia­mo con­to che la mag­gior par­te degli ita­lia­ni che pen­sa­no a se’ stes­si come spor­ti­vi, lo fan­no per­chè seguo­no il cal­cio in tv alla dome­ni­ca e pas­sa­no poi il loro tam­po a par­lar­ne dal lune­di al mer­co­le­di, men­tre i gior­ni dal gio­ve­di al saba­to ven­go­no spe­si per par­la­re di cosa acca­drà nel­la pros­si­ma partita?

E intan­to la vita scor­re… scor­re. A vol­te scor­reg­gia pure. E improv­vi­sa­men­te, ecco l’ac­ci­den­te, l’e­ven­to for­tui­to o sfi­ga­tis­si­mo. Ecco che la vita è diven­ta­ta tiran­na o gene­ro­sa, qua­si fos­se qual­cu­no con cui puoi met­ter­ti a par­la­re, a mercanteggiare.

La vità non è una per­so­na. Non è un vigi­le con cui puoi liti­ga­re per una mul­ta o il vici­no che ti ciu­la la moglie. La vita è qual­co­sa che ci cir­con­da, ci com­pe­ne­tra, man­tie­ne uni­ta tut­ta la galas­sia… no, scu­sa­te, for­se mi sono confuso.

O for­se no.



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Giuseppe

Stu­pen­de paro­le, che fan­no capi­re moltissimo!