Renato e la rondine

Era da un po’ che sta­va fer­mo, lì sul­la pan­chi­na. Le mani appog­gia­te al basto­ne, le dita intrec­cia­te men­tre tene­va lo sguar­do all’in­sù, a guar­da­re le ron­di­ni volare.

Il fri­ni­re era inten­so, for­te, per­chè lo stor­mo era appe­na arri­va­to dal­la migra­zio­ne annuale.

Rena­to, così si chia­ma­va il vec­chio, ricor­da­va quan­do era gio­va­ne e le ron­di­ni arri­va­va­no in nume­ro assai supe­rio­re. Nei pri­mi gior­ni di pri­ma­ve­ra era­no qua­si assordanti.

Oggi face­va­no anco­ra casi­no, cer­to, ma non quan­to una volta.

Ma a Rena­to non impor­ta­va. In quel momen­to si sta­va chie­den­do cosa in real­tà fos­se cam­bia­to den­tro di lui.

Quan­do ascol­ta­va i loro ver­si fre­ne­ti­ci da ragaz­zo era sem­pre col­to da una gio­ia pro­fon­da, un sen­so di leg­ge­rez­za impa­ga­bi­le, che segna­va sia la fine del­l’an­no sco­la­sti­co che l’i­ni­zio del­la bel­la sta­gio­ne, quan­do l’a­ria ini­zia­va a sape­re di erba fre­sca e c’e­ra una par­ti­co­la­re fragranza.

Sor­ri­se tra se’ men­tre ripor­ta­va alla men­te le pri­me scam­pa­gna­te con Bar­ba­ra, la sua pri­ma fiamma.

Ma oggi… oggi tut­to quel­lo non c’e­ra più. Era rima­sto il ricor­do di quel­lo che sen­ti­va, ma non riu­sci­va più a sentirlo.

Rena­to sape­va che, for­se, era un effet­to del­la vec­chia­ia, dei trop­pi anni tra­scor­si da solo, mol­to spes­so su quel­la stes­sa pan­chi­na, davan­ti alla chie­sa del paese.

Ma in real­tà sape­va anche che la vec­chia­ia non c’en­tra­va nul­la. Era da parec­chio tem­po che si era accor­to che in lui era rima­sto solo il ricor­do del­la pas­sio­ne, pal­li­do simu­la­cro di ciò che era sta­to in gra­do, in altri tem­pi, di scal­dar­gli il cuore.

Il ricor­do di un sen­ti­men­to. Per lui era come il rifles­so di un bic­chie­re di vino visto nel­lo spec­chio. Inu­ti­le sen­za la sua par­te reale.

Rena­to non capi­va per­chè, ma quel­la mat­ti­na la cosa gli sta­va pesan­do in modo par­ti­co­la­re. Ave­va il cuo­re pesan­te, quel­la mat­ti­na. Si sen­ti­va dav­ve­ro solo.

“E’ per­chè ti sei arre­so, Renato”

La voce pigo­lan­te lo strap­pò dai suoi rimu­gi­na­men­ti inte­rio­ri, facen­do­lo sob­bal­za­re. Quan­do il suo sguar­do mio­pe rimi­se a fuo­co il mon­do ester­no, si rese con­to che sul­le sue mani si era pog­gia­ta una rondine.

Deci­se che dove­va trat­tar­si di una qual­che all­lu­ci­na­zio­ne. For­se dovu­ta ai far­ma­ci che pren­de­va per la pres­sio­ne. Ad ogni modo era una bel­la allu­ci­na­zio­ne. Una stu­pen­da ron­di­ne che gli par­la­va… se non era un bel­lo spet­ta­co­lo quello…

“Arre­so? Si, for­se hai ragio­ne. Ma alla mia età…”

La ron­di­ne abbas­sò la testa, emet­ten­do una cosa mol­to simi­le ad una risatina.

“La tua età? Ma qua­le tua età. L’e­tà non è tua. E’ del tem­po. Tu potre­sti esse­re tuo, for­se. Ma ti sei arreso…”

Rena­to tirò un sospi­ro. Ora era cer­to che si trat­ta­va di un’al­lu­ci­na­zio­ne. Le ron­di­ni gli era­no fami­lia­ri, aven­do­le osser­va­te per tan­ti anni le cono­sce­va mol­to bene. E non gli risul­ta­va che stu­dias­se­ro filosofia.

Ma deci­se che quel­l’al­lu­ci­na­zio­ne, per quan­to irrea­le, ave­va comun­que ragio­ne da vendere.

“Cara Ron­di­ne” rispo­se “hai per­fet­ta­men­te ragio­ne. Mi sono arre­so. Ma d’al­tron­de… non ho mai tro­va­to una ragio­ne per fare altri­men­ti. E oggi… beh, oltre alla ragio­ne non tro­ve­rei nep­pu­re più la for­za per combattere”

La ron­di­ne lo guar­dò per qual­che secon­do, muo­ven­do la testa a scat­ti, di qua e di là.

“Allo­ra fac­cia­mo così: te la do io una ragione”

E così dicen­do fece un pic­co­lo bal­za­rel­lo sul­le zam­pe, come se voles­se vola­re via. Ma inve­ce che andar­se­ne, la ron­di­ne ini­zià a sbat­te­re le ali, rima­nen­do sospe­sa nel­l’a­ria davan­ti a lui.

Rena­to rima­se stu­pi­to, ma anco­ra di più tra­se­co­lò quan­do la ron­di­ne ini­ziò a cam­bia­re, a tra­sfor­mar­si. Fino a che, tra un bat­ti­to di ciglia ed un altro, lasciò spa­zio sen­za pare­re ad una splen­di­da donna.

“Che ne pen­si ora, potre­sti pen­sa­re di pas­sa­re qual­che tem­po in più con me?”

Il vec­chio rima­se a boc­ca aper­ta; la don­na era pro­prio pro­prio bel­la. Ave­va capel­li lun­ghi, lisci. E due occhi color del mie­le di castagno.

Cer­to che quel­l’al­lu­ci­na­zio­ne era pro­prio fan­ta­sti­ca, dove­va ricor­dar­si di chie­de­re al medi­co di aumen­tar­gli la dose di medicinale.

“Sei dav­ve­ro così sicu­ro che io sia un’al­lu­ci­na­zio­ne? Dav­ve­ro non mi rico­no­sci? Eppu­re mi aspet­ti da mol­to tempo”

No, non era un’al­lu­ci­na­zio­ne. Era pro­prio impaz­zi­to. Fece per alzar­si dal­la pan­chi­na ma, muo­ven­do­si, sen­tì qual­co­sa di stra­no nel suo cor­po. Come se tut­to il peso del­la vec­chia­ia fos­se d’un trat­to svanito.

Si accor­se che non ave­va più biso­gno del bastone.

Allo­ra capì; fece un sor­ri­so, final­men­te sen­ten­do di nuo­vo nel cuo­re il can­to del­le ron­di­ni e non il loro ricordo.

La don­na gli tese la mano:

“Andia­mo?” dis­se con un sor­ri­so dolcissimo.

Rena­to pre­se la mano tesa, la strin­se nel­la pro­pria con deli­ca­tez­za e con quel solo con­tat­to la tene­rez­za, la dol­cez­za, la pas­sio­ne ed il fuo­co del­la vita si riac­ce­se­ro in lui.

“Andia­mo!” con­fer­mò in un sus­sur­ro, seguen­do quel­la don­na meravigliosa.

Con la coda del­l’oc­chio vide il suo cor­po diste­so a ter­ra, a fac­cia in su.

Anche il suo abi­to ter­re­no, in quel momen­to, sorrideva.

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4 Commenti
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Fede

bel­lis­si­mo rac­con­to, l’hai scrit­to tu?

vito

bellissimo…complimenti…