Ascoltare è una questione di esercizio. Ma anche di interesse

Pote­te ascol­ta­re o sca­ri­ca­re il pod­ca­st diret­ta­men­te qui sotto:

Tan­te vol­te si sen­te par­la­re di “ascol­to”. Su cosa si inten­da con que­sta paro­la cre­do si potreb­be discu­te­re parecchio.

Ascol­ta­re con le orec­chie, per esem­pio. Ma “ascol­ta­re” non è “udi­re”. Così come “vede­re” non è “guar­da­re”.

Per ascol­ta­re occor­re fare uno sfor­zo. Occor­re voler fare un atto, quel­lo appun­to di ascoltare.

Si può sen­ti­re quel­lo che la per­so­na davan­ti a noi sta dicen­do ma non ascol­tar­la (cosa che acca­de piut­to­sto spes­so, direi). Que­sto signi­fi­ca che oltre all’at­to di udi­re, ci deve esse­re poi un altro pro­ces­so, un atto volon­ta­rio di com­pren­sio­ne, qual­co­sa di più o meno razio­na­le, che con­sen­ta di far entra­re al nostro inter­no il signi­fi­ca­to di ciò che udiamo.

In altre paro­le esi­sto­no altre orec­chie oltre a quel­le fisiche.

Ma se que­sto è vero, allo­ra signi­fi­ca che esi­sto­no anche altri suo­ni, oltre a quel­li fisi­ci. Altre vibra­zio­ni, oltre a quel­le sonore.

E’ qui che si gio­ca un altro tipo di ascol­to. Quel­lo che ti per­met­te di sen­ti­re qual­co­sa di più. Che ti con­sen­te di impa­ra­re, su te stes­so e su chi ti sta di fronte.

Non è dif­fi­ci­le. Solo che all’i­ni­zio si fa un po’ fati­ca, per­chè non sia­mo abituati.

Il pri­mo pas­so nor­mal­men­te è auto­ma­ti­co. Acca­de ad esem­pio tut­te le vol­te che non ci sen­tia­mo in for­ma. Il solo fat­to di avver­ti­re la pro­pria con­di­zio­ne come debo­le, por­ta l’at­ten­zio­ne all’in­ter­no del cor­po, alla ricer­ca di cosa ci sia che non va.

E’ un ascol­to rudi­men­ta­le, cer­to, ma è un pri­mo passo.

Se eser­ci­tia­mo que­sto tipo di atten­zio­ne ver­so l’in­ter­no, sco­pri­re­mo pre­sto che pos­sia­mo sen­ti­re mol­to di più di quan­to non sia­mo abi­tua­ti a fare, fino a che, ad un cer­to pun­to, avver­ti­re­mo la neces­si­tà di silen­zio anche all’in­ter­no, esat­ta­men­te nel­lo stes­so modo in cui si zit­ti­sce qual­cu­no che par­la quan­do si sen­te un rumo­re sco­no­sciu­to o sospetto.

E’ lo stes­so mec­ca­ni­smo: abbas­sa­re il livel­lo di rumo­re per ascol­ta­re qual­co­sa di preciso.

Per l’u­di­to nor­ma­le signi­fi­ca far ces­sa­re i suo­ni estra­nei a quel­lo che voglia­mo ascol­ta­re, per quel­l’al­tro, quel­lo che ascol­ta all’in­ter­no, inve­ce signi­fi­ca abbas­sa­re l’u­ni­ca vera fon­te di rumo­re: il pen­sie­ro meccanico.

Ma come non è sem­pli­ce far ces­sa­re rumo­ri che non sia­mo noi a pro­dur­re, così non è sem­pli­ce far ces­sa­re quel­li del pensiero.

Si può uti­liz­za­re l’at­ten­zio­ne, una sor­ta di con­cen­tra­zio­ne su ciò che voglia­mo udi­re, fino a far spa­ri­re tut­ti gli altri suo­ni. Anche all’in­ter­no è pos­si­bi­le fare la stes­sa cosa. Non dare ascol­to ai pen­sie­ri, al cor­po, con­cen­tran­do l’at­ten­zio­ne sul nostro obiet­ti­vo, fino a far ces­sa­re il rumo­re del­la mente.

Il rumo­re ester­no c’è anco­ra, ma gra­zie alla con­cen­tra­zio­ne riu­scia­mo a sen­ti­re cosa dice la per­so­na il cui discor­so ci inte­res­sa. Allo stes­so modo il pen­sie­ro mec­ca­ni­co esi­ste sem­pre, ma tur­ba sem­pre di meno la nostra con­cen­tra­zio­ne, fino a che tut­to il rumo­re vie­ne esclu­so dal­la consapevolezza.

Allo­ra sem­bra che il pen­sie­ro ces­si. E in effet­ti è così. Non lo per­ce­pia­mo più. Quin­di è come se non esistesse.

E’ una que­stio­ne di eser­ci­zio, arri­va­re al silen­zio. Di volon­tà e di inte­res­se ver­so qual­co­s’al­tro. E come tut­ti gli eser­ci­zi, deve esse­re mes­so in pra­ti­ca se voglia­mo migliorare.

Ma come tut­ti gli eser­ci­zi, più vie­ne pra­ti­ca­to, più cre­sce nel tempo.

Donan­do­ci momen­ti di com­pren­sio­ne asso­lu­ta­men­te non imma­gi­na­bi­li all’i­ni­zio del cammino.

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