Centro motore, riflessi ancestrali e percezione meccanica

Qual­che sera fa sta­vo pas­san­do per Cor­so V. Ema­nue­le a Mila­no. Que­sto Cor­so è il più impor­tan­te, il più cen­tra­le del­la cit­tà ed è iso­la pedo­na­le, com­ple­ta­men­te inter­det­ta al traf­fi­co, ovvia­men­te anche mol­to affollata.

Come cre­do in mol­te altre cit­tà è anche mol­to fre­quen­ta­ta da ven­di­to­ri ambu­lan­ti di ogni genere.

Cam­mi­nan­do, ogni tan­to vede­vo del­le pic­co­le mac­chie lumi­no­se blu schiz­za­re ver­so l’al­to e sta­gliar­si sul­lo sfon­do del cie­lo not­tur­no, par­ten­do da mol­ti degli ambu­lan­ti. Avvi­ci­na­to­mi ad uno di loro, ho visto che si trat­ta­va di pic­co­le eli­che di pla­sti­ca, lan­cia­te in aria con un ela­sti­co e che, giran­do su se stes­se a con­tat­to con l’a­ria, ali­men­ta­va­no un pic­co­lo gene­ra­to­re che per­met­te­va loro di emet­te­re quel­la luce blu che mi ave­va colpito.

Sod­di­sfat­ta la curio­si­tà me ne sono anda­to per la mia stra­da, con­ti­nuan­do a vede­re quel­le pic­co­le eli­che che ogni tan­to shiz­za­va­no in su. La cosa che mi ha col­pi­to è sta­ta che per lo sguar­do sem­bra­va esse­re impos­si­bi­le non seguir­le; nono­stan­te sapes­si di cosa si trat­ta­va e nono­stan­te non me ne potes­se fre­gar di meno, non pote­vo fare a meno di seguir­le con gli occhi ogni qual­vol­ta ne par­ti­va una.

Guar­dan­do­mi attor­no ho visto che pra­ti­ca­men­te tut­ti i pas­san­ti face­va­no come me, seguen­do in modo evi­den­te­men­te auto­ma­ti­co gli ogget­ti con gli occhi.

Ho ini­zia­to a por­re atten­zio­ne alla cosa e ho sco­per­to che il fat­to altro non era che un rifles­so, mes­so in atto da un istin­to abba­stan­za pri­ma­rio: quel­lo di difesa.

I miei occhi, come ho potu­to osser­va­re, segui­va­no que­gli ogget­ti non per il fat­to che fos­se­ro stra­ni o per il bel colo­re del­la luce emes­sa, quan­to per­chè la loro velo­ci­tà li face­va “emer­ge­re” da un qua­dro com­ples­si­vo di tut­t’al­tra qualità.

In altre paro­le, era come se la situa­zio­ne fos­se sta­ta in qual­che modo para­me­triz­za­ta dal cer­vel­lo che ne ave­va trat­to una sor­ta di “Imma­gi­ne qua­li­ta­ti­va dina­mi­ca”, con una sua media­na. Le eli­che, schiz­zan­do via a velo­ci­tà evi­den­te­men­te mol­to mag­gio­re del­la media dei movi­men­ti attor­no a me, usci­va­no da que­sta “valu­ta­zio­ne media” e quin­di face­va­no scat­ta­re un allar­me per cui lo sguar­do era costret­to a seguirle.

Ascol­tan­do con mol­ta atten­zio­ne, mi sono accor­to che l’al­lar­me era pro­dot­to pro­prio da un rifles­so auto­ma­ti­co. Ogni vol­ta che nel cam­po visi­vo, anche peri­fe­ri­co, e quin­di non sot­to­po­sto allo stes­so livel­lo di vigi­lan­za di quel­lo cen­tra­le, si muo­ve­va­no que­gli ogget­ti, i miei occhi anda­va­no auto­ma­ti­ca­men­te a col­li­ma­re con pre­ci­sio­ne sul­la loro posizione.

Un rifles­so ance­stra­le dun­que, non ori­gi­na­to dal­la cor­tec­cia, ma da qual­che zona sub­cor­ti­ca­le; mol­to pro­ba­bil­men­te un retag­gio di epo­che remo­te in cui per­ce­pi­re un pos­si­bi­le peri­co­lo con il mas­si­mo anti­ci­po pote­va fare la dif­fe­ren­za tra la vita e la morte.

Con­trol­la­re quel rifles­so non era affat­to faci­le, come ho sco­per­to poi, per­chè l’im­pul­so per il movi­men­to era pra­ti­ca­men­te imme­dia­to all’in­sor­ge­re del­lo sti­mo­lo e del tut­to subconscio.

Sti­mo­la­to dal­la sco­per­ta ho ini­zia­to a cer­ca­re di con­trol­lar­lo volon­ta­ria­men­te e devo dire che non è sta­ta affat­to un’im­pre­sa faci­le. Per riu­scir­ci ho dovu­to pra­ti­ca­men­te con­cen­tra­re tut­ta la mia atten­zio­ne sul cam­po visi­vo peri­fe­ri­co, ed eser­ci­ta­re una “vigi­lan­za” costan­te su di esso. Un solo istan­te in cui l’at­ten­zio­ne anda­va da qual­che altra par­te e il con­trol­lo se ne anda­va a far­si benedire.

Dopo qual­che minu­to di lot­ta però, mi sono accor­to che il rifles­so ini­zia­va a per­de­re poten­za. Il movi­men­to era anco­ra com­pul­si­vo, ma non vi era più la stes­sa ener­gia nel far­lo. Osser­van­do con atten­zio­ne ogni suc­ces­si­vo even­to, ho capi­to che sta­va acca­den­do qual­co­sa a livel­lo di per­ce­zio­ne; la par­te con­scia del­la mia men­te sta­va in qual­che modo impa­ran­do che quel movi­men­to non era da seguire.

Sono rima­sto fer­mo come un defi­cen­te in mez­zo al cor­so per parec­chio tem­po, del tut­to con­cen­tra­to sul segui­re que­sta cosa e ho visto chia­ra­men­te il pro­ces­so con cui la men­te ini­zia­va ad incor­po­ra­re lo schiz­zo del­le eli­che nel­la media­na dei movi­men­ti. Dopo cir­ca cin­que minu­ti, il rifles­so non agi­va più; lo sen­ti­vo anco­ra scat­ta­re da qual­che par­te, ma la men­te con­scia ora si frap­po­ne­va tra rifles­so e cen­tro moto­re, per impe­di­re il movimento.

Dopo altri cin­que minu­ti non vi era più trac­cia nep­pu­re del riflesso.

Ho tro­va­to vera­men­te affa­sci­nan­te poter­mi ren­de­re con­sa­pe­vo­le di que­sto pro­ces­so. E’ sta­to come segui­re un cor­so acce­le­ra­to di neu­ro­fi­sio­lo­gia pra­ti­ca sen­za altro stru­men­to che quel­lo dell’osservazione.

Ma non solo affa­sci­nan­te: anche mol­to uti­le. Sape­re come inte­ra­gi­re sui rifles­si istin­ti­vi è una cosa che ci può per­met­te­re, oltre che di toc­ca­re con mano quel­la famo­sa “mec­ca­ni­ci­tà” di cui par­lo spes­so, anche di ren­der­ci con­sa­pe­vo­li del fat­to che, con lo stes­so siste­ma, andia­mo a sof­fo­ca­re quei rifles­si che tali non sono.

In altre paro­le, lo stes­so pro­ces­so che ha mes­so fine all’in­te­ra­zio­ne del rifles­so con il cor­po, pro­du­ce quel­la cosa chia­ma­ta abi­tu­di­ne. Cosa che a sua vol­ta pro­du­ce quel­la man­can­za di con­sa­pe­vo­lez­za che tan­to pesa sul­le nostre vite.

La nostra men­te con­scia inte­ra­gi­sce con gli even­ti del­la vita allo stes­so modo usa­to per i rifles­si, clas­si­fi­can­do­li come nor­ma­li e quin­di non degni di attenzione.

E’ così che ci si tro­va peren­ne­men­te nel futu­ro e rara­men­te nel pre­sen­te; è la nostra men­te con­scia che inte­ra­gi­sce con la nostra per­ce­zio­ne del­la real­tà, già erra­ti­ca per sua natu­ra, ren­den­do­la anco­ra più tale nel con­ti­nuo pro­ces­so di nor­ma­liz­za­zio­ne del­le percezioni.

Ma alla fine, a furia di nor­ma­liz­za­re, non c’è più nul­la che attrag­ga la nostra atten­zio­ne e la vita tut­ta divie­ne una mec­ca­ni­ci­tà qua­si com­ple­ta, inter­rot­ta a trat­ti da qual­che even­to che, per un ristret­to perio­do di tem­po, risve­glia il nostro inte­res­se, per diven­ta­re subi­to dopo par­te “nor­ma­le” del­la nostra vita.

Que­sta osser­va­zio­ne è di estre­ma impor­tan­za, per­chè ci fa capi­re che la mec­ca­ni­ci­tà è la nostra ten­den­za natu­ra­le, pro­dot­ta a sua vol­ta da una pre­ci­sa “pro­gram­ma­zio­ne” fisio­lo­gi­ca del nostro com­pu­ter principale.

Per para­fra­sa­re Jes­si­ca Rabbit:

“Non sia­mo cat­ti­vi… è che ci han­no dise­gna­to così”

Ecco per­chè è così dif­fi­ci­le vive­re il famo­so “atti­mo fuggente”.

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Sciuscia

Rifles­sio­ne inte­res­san­te che tro­vo giusto.

Sting

L’al­tro ieri sta­vo spie­gan­do ad una per­so­na “digiu­na” di ricer­ca di come l’es­se­re un esse­re uma­no (mi si scu­si il gio­co di paro­le), non rap­pre­sen­ta asso­lu­ta­men­te un “plus” rispet­to al livel­lo ani­ma­le, ma solo “veste” una strut­tu­ra psi­co­fi­si­ca in gra­do di con­te­ne­re una “pos­si­bi­li­tà” di cre­sci­ta inte­rio­re, o di evo­lu­zio­ne più rapi­da, se voglia­mo, cne ovvia­men­te non è del cor­po, ma di chi il cor­po lo anima.
Se que­sta “acce­le­ra­zio­ne” non è cer­ca­ta, volu­ta e nutri­ta, sia­mo ani­ma­li che come tali rispon­do­no mec­ca­ni­ca­men­te a sti­mo­li ester­ni e/o inter­ni, in modo pre­de­fi­ni­to, con scar­si gra­di di libertà.
La mec­ca­ni­ci­tà è il ciò che ci con­sen­te, in ulti­ma ana­li­si, di soprav­vi­ve­re su que­sto pia­ne­ta, sen­za dover “voler” respi­ra­re, pom­pa­re il san­gue, espel­le­re gli escre­men­ti, posa­re un pie­de dopo l’al­tro duran­te il cam­mio, etc, etc.
O, come nel­la situa­zio­ne cita­ta, scap­pa­re a gam­be leva­te ad ogni stor­mir di foglie.
Ma guai, se si vuo­le “usci­re dagli sche­mi”, a fer­mar­si li.
Allo­ra l’es­se­re uma­no piom­ba allo sta­to ani­ma­le, ad esse­re una mera­vi­glio­sa mac­chi­na o,… uno zombie.
“Lascia­te che i mor­ti sep­pel­li­sca­no i loro mor­ti.” Mae­stro Gesù

Andrea G

Bel­lis­si­mo post!! Maga­ri aves­si tro­va­to scrit­ti simi­li “alle­ga­ti” ai capi­to­li dei testi di psi­co­lo­gia e neruo­fi­sio­lo­gia che ho stu­dia­to all’U­ni­ver­si­tà (pen­san­do­ci bene qual­che vol­ta c’e­ra­no, ma sono sta­ti dav­ve­ro rari).
Una rifles­sio­ne che cre­do sia inte­res­san­te è che per mol­te per­so­ne non impe­gna­te in un per­cor­so di ricer­ca di sé, tut­ti i mec­ca­ni­smi osser­va­ti da Franz sono con­si­de­ra­ti “nor­ma­li”, non modi­fi­ca­bi­li e quin­di irrilevanti.
Eppu­re (oltre ad alcu­ne mie espe­rien­ze per­so­na­li) è sta­to fat­to uno stu­dio (cita­to nel testo “Emo­zio­ni Distrut­ti­ve” di Daniel Gole­ma e il Dalai Lama) in cui un esper­to pra­ti­can­te di medi­ta­zio­ne (del­la tra­di­zio­ne Bud­di­sta Tibetana)veniva sot­to­po­sto ad uno sti­mo­lo (tipo suo­no di uno spa­ro) che nor­mal­men­te pro­vo­ca il rifles­so di tra­sa­li­men­to, un’i­stin­ti­va rispo­sta fisiologica.
Ebbe­ne, in que­sto pra­ti­can­te la rispo­sta era mini­ma e non per­ce­pi­bi­le all’esterno.
Ma atten­zio­ne: riu­sci­va ad ini­bi­re il com­por­ta­men­to mec­ca­ni­co e non la percezione.
Que­sto signi­fi­ca che un sog­get­to alle­na­to può per­ce­pi­re chia­ra­men­te un peri­co­lo o un cam­bia­men­to improv­vi­so ma “bloc­ca­re” la rispo­sta istin­ti­va e (que­sto fa la differenza)
SCEGLIERE LA RISPOSTA MIGLIORE!! (Pro­prio come si dice nel post).
Gra­zie Franz.

francesco

bel­lis­si­ma osser­va­zio­ne, pro­prio vero. Ave­te mai osser­va­to poi che facen­do atti­vi­tà ricor­ren­te (come ad esem­pio anda­re al lavo­ro in mac­chi­na lun­go la stes­sa stra­da, per­cor­ren­do il cor­ri­do­io ver­so il soli­to uffi­cio) lo sguar­do si sof­fer­ma spes­so sul­le stes­se iden­ti­che cose) Un car­tel­lo­ne pub­bli­ci­ta­rio, una scrit­ta vici­no all’uf­fi­cio “non fuma­re”. Que­sta cosa mi ha sem­pre affa­sci­na­to… ed impau­ri­to, per­chè vuol dire che tut­to il resto lo lascia­mo in “back­ground” e non lo osser­via­mo a meno che, come le eli­che di franz, non si impo­ne alla nostra atten­zio­ne. Quin­di pos­sia­mo con­clu­de­re che non dovreb­be esse­re l’e­ster­no che si pone alla nostra atten­zio­ne, ma noi che dob­bia­mo impor­re, median­te sfor­zo volo­na­ta­rio, la nostra atten­zio­ne all’e­ster­no, insom­ma, l’e­sat­to contrario.