L’uso del suono nelle arti marziali. Kobudera.

Dif­fi­ci­le da tro­va­re men­zio­na­to in giro per la rete, que­sta par­ti­co­la­re bran­ca del nin­ju­tsu trae diret­ta­men­te ori­gi­ne dal­la casta degli Yama­bu­shi.

Asce­ti guer­rie­ri ante­ce­den­ti all’av­ven­to dei samu­rai, que­sti mona­ci, anco­ra oggi esi­sten­ti, era­no noti per inda­ga­re aspet­ti ritua­li e “magi­ci” rela­ti­vi alle for­ze natu­ra­li. Il loro domi­nio sul cor­po fisi­co è abba­stan­za leg­gen­da­rio, e nel­la tra­di­zio­ne lega­ta a que­sto aspet­to han­no mol­ta atti­nen­za con alcu­ni Sadu che in India pas­sa­no anni e anni nel ten­ta­ti­vo, spes­so effi­ca­ce, di far fare al loro cor­po cose incredibili.

Ovvio che lo sco­po non è di cer­to quel­lo di met­te­re in pie­di del­le esi­bi­zio­ni, per quan­to straor­di­na­rie, quan­to quel­lo di affer­ma­re e tra­va­li­ca­re l’im­per­ma­nen­za e l’il­lu­sio­ne del­la materia. 

Gli Yama­bu­shi pra­ti­ca­no alcu­ne for­me di alle­na­men­to e di arti mar­zia­li che non sten­te­rei a defi­ni­re ance­stra­li, in un ambi­to for­te­men­te eso­te­ri­co, all’in­ter­no del qua­le l’in­da­gi­ne inte­rio­re si orien­ta più ver­so for­me di pra­ti­che drui­di­che e scia­ma­ni­che.

Il con­tat­to e la pene­tra­zio­ne nei regni del­le leg­gi sco­no­sciu­te di que­sto mon­do por­ta gli Yama­bu­shi lun­go qua­si tut­ta la sto­ria orien­ta­le ad affian­ca­re ed aiu­ta­re re ed impe­ra­to­ri, ma anche filo­so­fi e religiosi.

Anco­ra oggi, pur essen­do un even­to abba­stan­za raro, alcu­ni super­sti­ti di que­sta set­ta lascia­no il loro ere­mi­tag­gio per “scen­de­re in cit­tà”. Quan­do que­sto acca­de il rispet­to che vie­ne tri­bu­ta­to a que­sti uomi­ni è enorme.

Di fat­to comun­que, alla base del­la dot­tri­na pra­ti­ca­ta dagli Yama­bu­shi tro­via­mo lo Shu­gen­do, una cor­ren­te del Bud­d­hi­smo Shin­gon. La deri­va­zio­ne dal bud­d­hi­smo tan­tri­co Vaj­ra­ya­na è in que­sto caso diret­ta, pro­ve­nien­do dal fon­da­to­re, Kukai, che impor­tò dal­la Cina quan­to appre­so di que­gli inse­gna­men­ti più di 1.200 anni or sono, dai mae­stri india­ni tra­pian­ta­ti in quel­la terra.

Nel­la dot­tri­na degli Yama­bu­shi lo Shu­gen­do si fon­de con lo Shin­toi­smo e il risul­ta­to è una serie di pra­ti­che anco­ra oggi abba­stan­za sco­no­sciu­te. Come se non bastas­se, l’i­so­la­men­to degli Yama­bu­shi por­tò ad una modi­fi­ca­zio­ne sostan­zia­le sia del­le pra­ti­che che del­la dot­tri­na e del pen­sie­ro, fino a pun­ti ad oggi non conosciuti.

Quel­lo che si sa è che il Nin­ju­tsu pre­se a pie­ne mani da que­ste pra­ti­che, favo­ri­to da una vici­nan­za con gli Yama­bu­shi di cui non cono­sco i moti­vi. Nel­la visio­ne del nin­ju­tsu, com­ple­ta­men­te sce­vra del­la mora­le, del­l’e­ti­ca e del­la visio­ne dei samu­rai (che peral­tro non era­no cer­to degli stin­chi di san­ti), l’u­ti­liz­zo di for­me di com­bat­ti­men­to non era lega­to ad una visio­ne misti­co-reli­gio­sa, quan­to misti­co-pra­ti­ca. Si usa­va quel­lo che ser­vi­va e basta.

Dal­la vici­nan­za di cui sopra con gli Yama­bu­shi, due cor­ren­ti prin­ci­pa­li, “Kobu­de­ra” e “Jaho” rap­pre­sen­ta­no nel nin­ju­tsu le due espres­sio­ni del­la stes­sa ener­gia, l’u­na “Yin” e l’al­tra “Yang”, con­cet­to che in occi­den­te por­ta alla distin­zio­ne tra bene e male, gra­zie alla mora­le cat­to­li­ca, ma che in tut­to l’o­rien­te non ha asso­lu­ta­men­te que­sta valenza.

Kobu­de­ra e Jaho sono due espres­sio­ni non con­trap­po­ste, allo stes­so modo in cui Yin e Yang non lo sono.

Dal­la tra­di­zio­ne tan­tri­ca tut­ta­via, lun­go un per­cor­so di gros­se modi­fi­ca­zio­ni, pas­san­do per il bud­d­hi­smo Shin­gon e il con­se­guen­te Shu­gen­do, il nin­ju­tsu arri­va ad acqui­si­re dagli Yama­bu­shi alcu­ne tec­ni­che sono­re che a quan­to pare, stan­no al kiai-jutsu quan­to un’a­stro­na­ve ad una bicicletta.

Nel Kobu­de­ra in modo par­ti­co­la­re, l’u­ti­liz­zo del­la voce vie­ne lega­to all’e­vo­ca­zio­ne di for­me ener­ge­ti­che sot­ti­li, desti­na­te ad inte­ra­gi­re con la per­ce­zio­ne del­la real­tà di chi le subisce.

Mol­ti anni fa que­ste for­me conob­be­ro un’i­na­spet­ta­ta noto­rie­tà gra­zie ad alcu­ni roman­zi di Eric Van Lust­ba­der, che ne par­lò, anche se in modo alquan­to alte­ra­to, in alcu­ni suoi libri.

La con­ce­zio­ne di que­sto gene­re di ener­gie vie­ne lega­ta ad un’a­spet­to mali­gno dal­la mora­le ma a quan­to ho potu­to sen­ti­re in un for­tu­na­to incon­tro avve­nu­to cir­ca ven­ti anni fa, que­sto deri­va dal­la natu­ra alquan­to “sel­va­ti­ca” del­le tec­ni­che e del­le ener­gie che ven­go­no toc­ca­te, le qua­li, di per se’, han­no una valen­za total­men­te neu­tra, anche se deci­sa­men­te da trat­ta­re con le pinze.

L’uo­mo che incon­trai a quel tem­po, pre­sen­ta­to­mi da una don­na giap­po­ne­se, era un vec­chio sul­la set­tan­ti­na. Ave­va occhi tal­men­te taglia­ti a man­dor­la che era vera­men­te dif­fi­ci­le scor­ge­re le iri­di. Quan­do una sera, su gen­ti­le invi­to del­la mia ospi­te, accet­tò di offrir­mi una bre­ve dimo­stra­zio­ne di alcu­ne pra­ti­che del Kobu­de­ra, fece qual­co­sa che mi lasciò vera­men­te impressionato.

Era­va­mo sedu­ti su un diva­no ad ango­lo, io da una par­te e lui, insie­me alla padro­na di casa, dal­l’al­tra. All’i­ni­zio l’uo­mo par­ve sem­pli­ce­men­te con­cen­trar­si (col sen­no del poi direi che era entra­to mol­to rapi­da­men­te in una con­di­zio­ne di silen­zio) per qual­che minu­to, poi, con un tono di voce appe­na udi­bi­le, ini­ziò a pro­nun­cia­re alcu­ne sil­la­be. La per­ce­zio­ne che ebbi allo­ra fu come se qual­cu­no aves­se deli­be­ra­ta­men­te abbas­sa­to le luci del­la stan­za. Quel­lo che pro­vai fu una spe­cie di cor­to­cir­cui­to del­la men­te razio­na­le con quel­la sim­bo­li­ca. Sostan­zial­men­te mi tro­vai in una con­di­zio­ne in cui… non capi­vo più nulla.

Oggi potrei dire che in quel momen­to una par­te del­la mia men­te si spen­se. Non per­si i sen­si e rima­si sem­pre in una con­di­zio­ne di pre­sen­za, ma la real­tà come la cono­sce­vo in quel momen­to, per qual­che secon­do sem­pli­ce­men­te per­se ogni significato.

L’uo­mo por­tò avan­ti la can­ti­le­na per qual­che tem­po, spin­gen­do­mi in uno sta­to simi­le a quel­la in cui ci si tro­va quan­do si ha una feb­bre mol­to alta.

Pen­so di poter tran­quil­la­men­te affer­ma­re che nes­su­no in quel­le con­di­zio­ni potreb­be nep­pu­re alza­re un dito di fron­te ad un attac­co di qual­sia­si livello.

Suc­ces­si­va­men­te par­lam­mo per qual­che minu­to e anco­ra oggi ricor­do che una fra­se che mi col­pì mol­to, nel­la tra­du­zio­ne del­la nostra ospi­te, fu:

“Il Kobu­de­ra è come una pisto­la: non è buo­no ne cat­ti­vo. Ma è anche come una kata­na. E’ nato per tagliare.”

Tut­to chia­ro, no?





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11 Commenti
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Giuseppe

Si! Tut­to chia­ro. Vera­men­te affa­sci­nan­te. Non ho mai avu­to dub­bi sul pote­re del suo­no e del­la voce, ma cono­scer­ne le leg­gi e tut­t’al­tra cosa. Però…forse è bene che non cada­no in mani sbagliate.

Fede

Inte­res­san­tis­si­mo!!

Giuseppe

Non mi rife­ri­vo cer­to a te. Anzi, sono sicu­ro che con te sareb­be­ro in buo­ne mani. 😀

Franz
Reply to  Giuseppe

Ari­gra­zie! 🙂

Sandro

For­se non c’en­tra un cavo­lo Franz, ma puoi toglier­mi una curio­si­tà? I fami­ge­ra­ti nin­ja ma chi dia­vo­lo erano? 😡

Sandro

Thank you… da appas­sio­na­to di cine­ma qua­le sei ben saprai che usci­rà fra bre­ve nin­ja assas­sin pro­dot­to dagli auto­ri di matrix

Franz
Reply to  Sandro

Sai che non ne sape­vo nul­la? Però solo il tito­lo mi fa teme­re la gran vaccata!
Dicia­mo che comun­que i fra­tel­li Wat­cho­w­ski di cap­pel­le fino­ra non ne han­no fat­te. Spe­ria­mo in bene!
Gra­zie del­la segnalazione. 🙂

Eiasu

Ciao Franz,
una for­te curio­si­tà: la paro­la Kobu, da sola signi­fi­ca qualcosa?
Ho lavo­ra­to per anni in un cen­tro di medi­ta­zio­ne chia­ma­to Kobu, ma il nome Kobu non è sta­ta una scel­ta razio­na­le, è venu­to fuo­ri in una pra­ti­ca scia­ma­ni­ca, la tro­vo una coin­ci­den­za non-coin­ci­den­za pazzesca