Dall’Estetica alla Verità. Estetica, Armonia. (1 di 3)

Il ter­mi­ne este­ti­ca nasce negli anni intor­no al 1750, ad ope­ra di Ale­xan­der Bau­m­gar­ten, che lo coniò come tito­lo del suo trat­ta­to “Aesthe­ti­ca”.

La paro­la in real­tà nascon­de in se’, come sem­pre, mol­ti più signi­fi­ca­ti di quel­li su cui si foca­liz­za Baumgarten.

Este­ti­ca vie­ne dal gre­co “Aiste­ti­kos” ovve­ro “sen­si­bi­le, capa­ce di sen­ti­re”. La scien­za del bel­lo di Bau­m­gar­ten infat­ti vie­ne defi­ni­ta in un momen­to in cui il filo­so­fo è for­te­men­te impre­gna­to dal pen­sie­ro di Leib­niz che, a sua vol­ta, pren­de­va a pie­ne mani gli aspet­ti mona­di­ci e imma­nen­ti­sti­ci del pen­sie­ro di Car­te­sio e, soprat­tut­to, di Spi­no­za.

Pro­prio nel­l’e­spres­sio­ne di que­st’ul­ti­mo va ricer­ca­ta l’o­ri­gi­ne del con­cet­to di este­ti­ca enun­cia­to da Baumgarten.

Spi­no­za ave­va a lun­go inda­ga­to mol­ti aspet­ti meta­fi­si­ci del­la natu­ra uma­na, ma sen­za appro­fon­di­re in que­sta sede più di tan­to, uno dei con­cet­ti fon­da­men­ta­li da lui espo­sti era quel­lo di “Sostan­za”.

Per Spi­no­za la “Sostan­za” era da inten­der­si pro­prio nel sen­so evin­ci­bi­le dal­l’e­ti­mo­lo­gia di que­sto ter­mi­ne (sub stan­za, ciò “che sta sot­to”) tra­mi­te il con­cet­to pro­prio di imma­nen­za del divino.

Nel pen­sie­ro spi­no­zia­no, dif­fi­cil­men­te rias­su­mi­bi­le in poche righe, la natu­ra del divi­no dev’es­se­re con­si­de­ra­ta imma­nen­te l’u­ni­ver­so in quan­to, essen­do il divi­no stes­so infi­ni­to e omni­com­pren­si­vo oltre che inco­no­sci­bi­le razio­nal­men­te, non ave­va sen­so enun­cia­re una qual­sia­si cosa come ester­na ad esso.

Per­tan­to, ogni cosa nel­l’u­ni­ver­so, osser­va­bi­le dal­l’uo­mo oppu­re no, deve esse­re par­te del divi­no. La sostan­za del­l’u­ni­ver­so diven­ta allo­ra il divi­no stes­so, la cui cono­scen­za non può esse­re, pro­prio per que­sto, con­dot­ta in “ope­ra ratio”, con il ragio­na­men­to cioè, quan­to con l’in­tui­zio­ne, nel sen­so che oggi inten­dia­mo con il ter­mi­ne “insight”.

Vivia­mo nel­l’u­ni­co uni­ver­so pos­si­bi­le” era una clas­si­ca affer­ma­zio­ne di Spi­no­za che arri­va drit­ta drit­ta fino a Bau­m­gar­ten, attra­ver­so il suo men­to­re Wolf.

Ritor­nan­do all’e­ti­mo­lo­gia di Este­ti­ca come “capa­ci­tà di sen­ti­re”, si può ana­liz­za­re il pen­sie­ro di Bau­m­gar­ten che vol­le appun­to sin­te­tiz­za­re una “scien­za del bel­lo”.

Solo che que­sta scien­za con il pas­sa­re del tem­po si è un po’ per­sa, super­fi­cia­liz­za­ta e stra­vol­ta da ciò che oggi vie­ne inte­so dai più con il ter­mi­ne di bel­lo, ovve­ro ciò che sta tra ristret­tis­si­mi quan­to illu­so­ri e fal­la­ci cano­ni este­ti­ci dal­la para­me­triz­za­zio­ne a dir poco discutibile.

Tro­van­do un’an­co­ra nel­la sag­gez­za popo­la­re, il det­to “Non è bel­lo ciò che è bel­lo ma è bel­lo ciò che pia­ce”, arri­via­mo ad intui­re l’a­na­lo­gia tra “bel­lo” e “pia­ce­re”.

Bel­lo è ciò che da pia­ce­re, brut­to è ciò che dispia­ce, che crea attri­to. Per estra­po­la­zio­ne e con­fron­to, se brut­to è ciò che crea attri­to, bel­lo dev’es­se­re ciò che non ne crea.

Una cosa che non crei attri­to deve ave­re in se’ una carat­te­ri­sti­ca prin­ci­pa­le: quel­la di esse­re armo­ni­ca. In qual­che modo “ordi­na­ta” in se’ stes­sa. Asso­nan­te e non dissonante.

Poi sarà pos­si­bi­le coglier­la o non coglier­la, ma l’ar­mo­nia è ciò che da’ la misu­ra al bello.

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