Il vuoto uccide.

Mol­to spes­so nomi­na­to nel­la decan­ta­zio­ne spic­cio­la e nel­le spie­ga­zio­ni più o meno manua­li­sti­che, il vuo­to non è sem­pre quel­lo che si dice.

Una con­di­zio­ne di vuo­to men­ta­le è sen­z’al­tro con­di­tio sine qua non per l’a­scol­to di stra­ti più pro­fon­di al pro­prio inter­no, ma non è ne così sem­pli­ce ne così imme­dia­ta da sperimentare.

Ma esi­ste un altro tipo di vuo­to. Nien­te affat­to raro ma, spe­ri­men­ta­to in tali e tan­te gui­se da ren­der­lo spes­so irri­co­no­sci­bi­le, è par­ti­co­lar­men­te pernicioso.

E’ quel­la for­ma di man­can­za che pri­ma o poi tut­ti han­no pro­va­to: ver­so un paren­te, ver­so un ami­co o una per­so­na per­du­ta, ad esem­pio. Nor­mal­men­te il tem­po atte­nua que­sta man­can­za, tra­sfor­man­do­ne l’ef­fet­to da tri­stez­za in dol­ce malin­co­nia e poi, nei casi più for­tu­na­ti, in un caro ricor­do che non gene­ra più sof­fe­ren­za.

Nei casi par­ti­co­lar­men­te gra­vi inve­ce que­sto vuo­to può anda­re più a fon­do. Allo­ra ciò che man­ca non è più solo ciò che ha gene­ra­to il vuo­to ma, soprat­tut­to, ciò che nel man­ca­re si è por­ta­to via, allo stes­so modo di un pro­iet­ti­le di can­no­ne che sca­vi un buco nel ber­sa­glio, pro­du­cen­do una feri­ta che a lun­go anda­re si rimar­gi­na ma nel far­lo crea una cica­tri­ce nel tes­su­to inter­no, cica­tri­ce che, come quel­le ordi­na­rie, fisi­che, è costi­tui­ta da tes­su­to fibro­so, sen­za le carat­te­ri­sti­che di quel­lo ori­gi­na­rio e, per­tan­to, sen­za le stes­se funzioni.

Quan­do que­sto acca­de allo­ra la feri­ta non si limi­ta a quel cam­po emo­ti­vo super­fi­cia­le che gene­ra i sen­ti­men­ti, ma affon­da le sue unghie più a fon­do.

Lì è più dif­fi­ci­le sana­re, rimar­gi­na­re. Ma soprat­tut­to è più dif­fi­ci­le ritor­na­re alle vec­chie fun­zio­ni, per­chè il tes­su­to inte­rio­re ha subi­to un dan­no fun­zio­na­le che crea una disfun­zio­na­li­tà anche in quel­li più super­fi­cia­li.

La ripa­ra­bi­li­tà del dan­no dipen­de da diver­si fat­to­ri: dal­la loca­liz­za­zio­ne del­la feri­ta sen­z’al­tro ma soprat­tut­to dal­l’e­sten­sio­ne del­la stessa. 

Una pic­co­la necro­si sul­le pare­ti del cuo­re può con­sen­ti­re ugual­men­te una vita degna di esse­re vis­su­ta. Ma un infar­to del mio­car­dio suf­fi­cien­te­men­te este­so può impe­di­re anche gli sfor­zi più infi­ni­te­si­ma­li e por­ta­re alla morte.

Allo stes­so modo, un vuo­to abba­stan­za limi­ta­to nel­l’in­ter­no può esse­re nuo­va­men­te riem­pi­to e i tes­su­ti pos­so­no così tor­na­re alla loro fun­zio­na­li­tà qua­si normale.

Ma se il vuo­to è suf­fi­cien­te­men­te este­so… allo­ra, sem­pli­ce­men­te, si muore.

Den­tro.

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