Ricerca della verità: cause di forza maggiore – by Sting

1° Sce­na:
Uomo, gio­va­ne, meno di 40 anni, per­so­na tran­quil­la, pro­ba­bil­men­te “pan­to­fo­la­ia”.

Vie­ne coin­vol­to dai casi del­la vita in situa­zio­ni nel­le qua­li, pro­ba­bil­men­te, non si sareb­be mai fic­ca­to. Si “ritro­va” spo­sa­to con figli, debi­ti e atti­vi­tà auto­no­ma che lo costrin­ge a rit­mi for­sen­na­ti e uno stret­to con­tat­to quo­ti­dia­no con clien­ti e fornitori.

Pen­sie­ri, pre­oc­cu­pa­zio­ni, respon­sa­bi­li­tà da affron­ta­re e gesti­re, o da rifiu­ta­re. Pec­ca­to che il sen­so del dove­re con­di­to dal sen­so di col­pa, pro­prio non lo pos­sa­no permettere.

Poi, d’im­prov­vi­so, un dolo­re al pet­to, man­ca l’a­ria… un’in­far­to. For­tu­na­ta­men­te cura­to in tem­po uti­le per non restar­ci secco.
Risul­ta­to: uno stop da rit­mi, impe­gni, con­tat­ti, pre­oc­cu­pa­zio­ni, dal “dove­re”.

2° sce­na:
Don­na, tra i 40 e i 50, sepa­ra­ta, pro­fes­sio­ni­sta pres­so una gran­de azien­da, lavo­ro mol­to impe­gna­ti­vo e poco rico­no­sciu­to. Situa­zio­ne fami­lia­re com­pli­ca­ta da malan­ni ed incom­pren­sio­ni, vita sen­ti­men­ta­le… meglio non parlarne!

Costret­ta suo mal­gra­do a dover­si occu­pa­re di nume­ro­se fac­cen­de che non le com­pe­to­no, sia in ambi­to lavo­ra­ti­vo che personale,nei fine settimana.
Nes­su­no sva­go, nes­su­no a cui appog­giar­si emo­ti­va­men­te, nes­su­no spa­zio tut­to per lei.

Ad un cer­to pun­to que­sta vita sof­fo­can­te ini­zia a diven­tar­lo anche fisi­ca­men­te: tos­se, asma, affan­no. Reci­di­vi e resi­sten­ti a qual­sia­si cura, impe­di­sco­no una nor­ma­le respi­ra­zio­ne fino ad un rico­ve­ro d’urgenza.
Risul­ta­to: un’al­tro stop, da rit­mi affan­no­si, impe­gni, con­tat­ti, pre­oc­cu­pa­zio­ni, dal “dove­re”.


Nel­l’ar­co di pochi mesi, il cor­po di entram­be que­ste per­so­ne a me care, ha mes­so in atto il truc­co più dra­sti­co a cui ricor­re­re, quan­do la men­te e le emo­zio­ni, rema­no con­tro l’ espres­sio­ne ciò che si sen­te, ciò che si vuo­le davvero.

Come è pos­si­bi­le, mi sono chie­sto, che per pau­ra del giu­di­zio mora­li­sta di sè stes­si, per timo­re del­le con­se­guen­ze dei pro­pri gesti, di affron­ta­re la disap­pro­va­zio­ne altrui; ci si deb­ba amma­la­re seria­men­te, per nascon­der­si die­tro la “cau­sa di for­za maggiore”.

Eppu­re è quel­lo che acca­de, mol­to spes­so non sono malat­tie “gra­vi”, ma sono segna­li ine­qui­vo­ca­bi­li che qual­co­sa non va. Potrem­mo ascol­tar­li e vive­re meglio, e maga­ri anche gli “altri” (vir­go­let­ta­to per­chè noi sia­mo gli altri, se sia­mo dal­l’al­tra par­te), impa­re­reb­be­ro a non dare per scon­ta­te mol­te cose.

Sin­te­tiz­zan­do, a vol­te i no sono mol­to più salu­ta­ri dei si (fal­si) che dicia­mo per com­pra­re la con­si­de­ra­zio­ne (fal­sa) dei nostri vici­ni di vita.

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Valeria

Si, in pas­sa­to mi suc­ces­se la stes­sa cosa, e for­se non mi è nem­me­no basta­ta! Per capire.
La mia per­so­na­le espe­rien­za è che gli osta­co­li ver­so un cam­bia­men­to del pro­prio vive­re non sono solo i sen­si di col­pa. E’ un’idea; di ciò che è meglio per noi e per chi ci cir­con­da. Un’idea pre­con­fe­zio­na­ta e cala­ta dall’alto fin da quan­do era­va­mo pic­co­li e quin­di mol­to dif­fi­ci­le da scar­di­na­re tan­to è radi­ca­ta nel­la nostra men­te. Un’idea for­se mai abba­stan­za veri­fi­ca­ta, mai abba­stan­za mes­sa in discussione.
Quan­do un’alba nuo­va nasce all’orizzonte e se ne coglie il pro­fu­mo, inten­so, ine­brian­te, vibran­te, c’è il rischio di pen­sa­re che non è per noi e così ci giria­mo dall’altra par­te rimet­ten­do­ci a fare le soli­te cose…