La solitudine non è isolamento

Pren­do anco­ra volen­tie­ri spun­to dal­la bel­la poe­sia di Die­go, “Sci­vo­la”, per­chè quel­lo del­la soli­tu­di­ne mi è tema assai caro.

Spes­so la soli­tu­di­ne vie­ne con­fu­sa con l’i­so­la­men­to. Ma men­tre que­st’ul­ti­mo è una con­di­zio­ne fisi­ca, la soli­tu­di­ne è a parer mio uno sta­to dell’essere.
L’e­ti­mo­lo­gia del­la paro­la è inte­res­san­te: dal lati­no “solus”, per la mag­gior par­te for­ma di “sol­lus” che signi­fi­ca intie­ro, a sè stante.
La paro­la non con­tie­ne in sè il con­cet­to di sepa­ra­zio­ne, anche se alcu­ni ce lo voglio­no vede­re. Sepa­ra­re vie­ne dal lati­no “Se” con “para­re” ovve­ro una par­ti­cel­la che indi­ca “divi­sio­ne”, con un ter­mi­ne che signi­fi­ca appa­ia­re, met­te­re assie­me, uni­re, ma anche “pre­pa­ra­re”

Da qui il signi­fi­ca­to di rom­pe­re un’u­nio­ne, sepa­ra­re appunto.

Ma essen­do abi­tua­to a gio­ca­re con i suo­ni, in que­ste due par­ti del­la paro­la pre­fe­ri­sco vede­re la par­ti­cel­la “se” non già come nega­zio­ne ma come quel­lo che è: appun­to “se” inte­so come pro­no­me personale.

Allo­ra sepa­rar­si assu­me il signi­fi­ca­to di pre­pa­ra­re se stes­si, rea­liz­za­re se stes­si, acce­zio­ne che tro­va con­fer­ma in mol­ti aspet­ti del­la vita uma­na, in cui la sepa­ra­zio­ne è il pas­so pro­pe­deu­ti­co ad un cam­bia­men­to del­la vita. La sepa­ra­zio­ne dal­la madre alla rese­zio­ne del cor­do­ne ombe­li­ca­le, quel­la dal cor­po al momen­to del­la mor­te, quel­la dai geni­to­ri quan­do si va a vive­re da soli, quel­la dal part­ner nel momen­to in cui si per­de l’i­den­ti­tà del pro­prio spa­zio espe­rien­zia­le, e così via.

La sepa­ra­zio­ne peral­tro impli­ca che pri­ma di essa vi sia uni­tà. Ecco che quin­di il distac­co da qual­co­sa cui si è uni­ti anco­ra di più raf­for­za il con­cet­to di auto­ri­co­no­sci­men­to. E per lo stes­so moti­vo, pre­sen­ta un for­te carat­te­re di illu­so­rie­tà, non trat­tan­do­si di divi­sio­ne, quan­to di quel­la sor­ta di nega­zio­ne di un’u­ni­tà che non può che por­ta­re alla lun­ga al rico­no­sci­men­to del­la stessa.

Come è pos­si­bi­le infat­ti rico­no­sce­re di esse­re uni­ti a qual­co­sa, quel­la stes­sa cosa, se pri­ma non la si osser­va da un pun­to distante?

In que­sto vedo l’im­por­tan­za del­la soli­tu­di­ne, con­di­zio­ne rifug­gi­ta dal­l’es­se­re uma­no che la colo­ra emo­ti­va­men­te con la malin­co­nia e la tri­stez­za, ma che nul­la ha a che vede­re con del­le sem­pli­ci emozioni.

Noi nascia­mo soli. E moria­mo soli. Nes­su­no può veni­re con noi duran­te l’in­gres­so in que­sto mon­do, e nes­su­no può accom­pa­gnar­ci oltre la soglia quan­do ne uscia­mo. Soli.

Soli­tu­di­ne, esse­re soli, Soli, Soli a se stessi.

For­se non l’u­ni­ca via, ma sicu­ra­men­te un modo, uno sta­to del­l’es­se­re, qual­co­sa da cono­sce­re… per poi anda­re oltre.

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salvatore Cosentino

Gra­zie

Franz

Gra­zie a lei del pas­sag­gio e del commento!

Eluseide

Sono arri­va­ta qui per lo stes­so desi­de­rio di demi­sti­fi­ca­re e mi è pia­ciu­ta mol­to que­sta sobria lim­pi­da visio­ne. Grazie