Il mestiere – 2

Leg­gi le pun­ta­te pre­ce­den­ti: il mestie­re – 1

Pote­vo chia­ra­men­te per­ce­pi­re, oltre che vede­re quel­lo che sta­va pas­san­do nel­la men­te di Bri , e qua­si pro­vai un atti­mo di pena per lei; ma non c’e­ra più tem­po: il pun­to ros­so del laser le si piaz­zò in mez­zo agli occhi esat­ta­men­te nel momen­to in cui l’af­fer­rai per il cop­pi­no e la tirai ver­so di me per toglier­la dal­la linea di mira. Vidi i suoi occhi spa­lan­car­si, men­tre mi get­ta­vo a ter­ra con lei sot­to; fu per que­sto che non vide il fine­stri­no del­l’au­to esplo­de­re. In com­pen­so dovet­te udi­re per­fet­ta­men­te il boa­to del 308, per­chè la sen­tii irri­gi­dir­si e subi­to lan­cia­re un bre­ve urlo acu­to. Roto­lan­do mi por­tai al coper­to del­l’Au­di, inse­gui­to da un altro col­po che alzò un gei­ser di cemen­to dal pavi­men­to. Misi Bri a ridos­so del­la portiera.

“Non muo­ver­ti!” dis­si sem­pli­ce­men­te. Lei fece cen­no di si con la testa. Era pal­li­da come uno strac­cio, ma sem­bra­va man­te­ne­re una par­ven­za di con­trol­lo. L’ho sem­pre det­to che dar­la via a nastro aiu­ta a non ave­re pro­ble­mi emotivi.
La sca­val­cai, igno­ran­do la sua espres­sio­ne men­tre da sot­to il com­ple­to di Arma­ni estrae­vo la mia arma, una monu­men­ta­le Grizz­ly 44 e mi dires­si ver­so il poste­rio­re del­la TT. Un altro boa­to. Vidi il tet­tuc­cio rigi­do del­l’au­to incur­var­si come sot­to il col­po di un maglio, e l’in­ter­no esplo­de­re in un bai­lam­me di lamie­ra, scin­til­le e imbot­ti­tu­ra dei sedi­li. Non era un 308 quel­lo che tira­va. Rin­fo­de­rai la pisto­la, affer­rai Bri per un pol­so e la sca­ra­ven­tai ver­so il fon­do del gara­ge, facen­do­la sci­vo­la­re sul cemen­to liscio fino die­tro a una colon­na por­tan­te, e tuf­fan­do­mi subi­to dopo al segui­to. Rag­giun­si coper­tu­ra appe­na in tem­po, men­tre un altro col­po stac­ca­va di net­to un’in­te­ra sezio­ne di cemen­to dal fian­co del­la colon­na. Bestemmiai.

“Ma cosa… chi…” far­fu­gliò Bri da in mez­zo alle mie gambe.

“Il chi te lo dico dopo, dol­cez­za. Il cosa è un cali­bro 50 BMG. ”

Vidi la con­fu­sio­ne negli occhi del­la ragaz­za, insie­me ad una sana dose di ter­ro­re. Incas­sai la testa tra le spal­le, pro­teg­gen­do­mi gli occhi dal­lo spruz­zo di cemen­to pro­vo­ca­to dal­l’en­ne­si­mo col­po del cec­chi­no. Con quel­lo che usa­va pote­va esse­re a qua­lun­que distan­za, da cin­quan­ta metri a un chi­lo­me­tro. Impos­si­bi­le pen­sa­re di con­tra­star­lo. Abbas­sai nuo­va­men­te lo sguar­do su Bri.

“Ci stan­no spa­ran­do con qual­co­sa di appe­na più pic­co­lo di un can­no­ne antiaereo. ”

Mi mera­vi­gliai di vede­re la com­pren­sio­ne in que­gli splen­di­di occhio­ni ver­di ma non il pani­co. Bri si limi­tò ad annui­re, poi dis­se semplicemente:

“Cosa fac­cia­mo allora?”

La voce non le ave­va nem­me­no tre­ma­to. Quel­la ragaz­za era dav­ve­ro straordinaria.

“Ci levia­mo di qui il pri­ma possibile.”

Cer­cai di osten­ta­re sicu­rez­za, ma la real­tà non era così rosea come cer­ca­vo di far sem­bra­re. Non riu­sci­vo ad indi­vi­dua­re il pun­to di tiro del cec­chi­no, e quel­lo ci pote­va tene­re inchio­da­ti lì per seco­li. In lon­ta­nan­za ini­ziai a sen­ti­re le sire­ne del­la poli­zia. La cosa non mi fece sen­ti­re meglio. Se die­tro il gril­let­to c’e­ra chi pen­sa­vo io, le for­ze del­l’or­di­ne non gli face­va­no un baf­fo. Mi guar­dai attor­no, cer­can­do di tro­va­re una solu­zio­ne allo stallo.

Era­va­mo pra­ti­ca­men­te inchio­da­ti con le spal­le al muro di fon­do. L’u­sci­ta più vici­na era a meno di cin­que metri, ma per quel­lo che mi riguar­da­va avreb­be anche potu­to esse­re dal­l’al­tra par­te del­la cit­tà. Sen­za una qual­che coper­tu­ra rischia­va­mo solo di far­ci buca­re da par­te a par­te. Poi lo sguar­do mi cad­de su due estin­to­ri mes­si uno a fian­co all’al­tro su due lati del­la colon­na accan­to; un’i­dea mol­to mal­sa­na mi pre­se for­ma nel­la men­te. Mi accuc­ciai e dissi:

“Affer­ra la mia cin­tu­ra, e guai a te se la lasci anda­re. Pre­pa­ra­ti per­chè ci sarà da correre.”

Anco­ra una vol­ta lei mi stu­pì, non dicen­do una paro­la e affer­ran­do la cin­tu­ra da sot­to la giac­ca. Dove­va dav­ve­ro ave­re dei ner­vi d’acciaio.

Sfo­de­rai la pisto­la e spa­rai un sin­go­lo col­po. La pal­la da 45 win­che­ster magnum bucò entram­bi gli estin­to­ri come se non fos­se­ro nem­me­no sta­ti lì. I due con­te­ni­to­ri sot­to pres­sio­ne esplo­se­ro come una bom­ba, pro­iet­tan­do ovun­que l’am­mo­nio di cui era­no pie­ni, e l’a­ria cal­da si satu­rò imme­dia­ta­men­te di vapo­re acqueo, tra­sfor­man­do il par­cheg­gio in una spe­cie di bagno turco.

“ORA!” escla­mai scat­tan­do da die­tro la colon­na, e tra­sci­nan­do­mi die­tro Bri nel­lo slancio.

Men­tre mi diri­ge­vo nel­la dire­zio­ne appros­si­ma­ti­va del­la sca­la di sicu­rez­za vidi il pen­nel­lo del laser scia­bo­la­re nel­la neb­bia arti­fi­cia­le alla dispe­ra­ta ricer­ca di un ber­sa­glio. Dal­la dire­zio­ne capii che il tira­to­re dove­va esse­re appo­sta­to da qual­che par­te all’e­ster­no del palaz­zo, dal­l’al­tra par­te del­la stra­da, ma un col­po tira­to a casac­cio che si pian­tò a meno di un metro alla mia destra mi fece desi­ste­re dal­le mie elu­cu­bra­zio­ni. Un atti­mo dopo mi get­ta­vo a tuf­fo con­tro il mani­glio­ne anti­pa­ni­co del­l’u­sci­ta, finen­do a ter­ra e chiu­den­do con un calcio.

Aiu­tai Bri ad alzarsi.

“Pre­sto segui­mi, non sia­mo anco­ra fuo­ri dai guai”

Mi lan­ciai giù dal­le sca­le di sicu­rez­za, la Grizz­ly in una destra, il bave­ro del giub­bot­to di Bri (con den­tro Bri natu­ral­men­te) nel­la sini­stra. Ave­vo la sen­sa­zio­ne che tut­to quel pic­chia­re di cali­bro 50 non fos­se il nostro uni­co problema.
Non ave­va­mo fat­to die­ci gra­di­ni che due sec­chi col­pi sca­va­ro­no altret­tan­ti cra­te­ri nel­la pare­te, ad un pal­mo dal­la mia testa. Rispo­si a casac­cio, spor­gen­do il brac­cio appe­na oltre il cor­ri­ma­no, men­tre schiac­cia­vo la ragaz­za con­tro la pare­te. I col­pi di 44 pre­se­ro a mia­go­la­re come gat­ti in amo­re, rim­bal­zan­do sul­le pare­ti e sui gra­di­ni, e fui feli­ce di sen­ti­re anche un gri­do di dolo­re. Sul­la ram­pa sce­se il silen­zio, ma non mi feci fre­ga­re. Pre­si l’ac­cen­di­no dal­la taca e lo lan­ciai pochi gra­di­ni più in bas­so. Imme­dia­ta­men­te furo­no esplo­si altri col­pi in rapi­da suc­ces­sio­ne. Mi alzai di scat­to, indi­vi­duai il tira­to­re, una ram­pa più sot­to e gli vuo­tai addos­so il cari­ca­to­re. L’ur­to del piom­bo ad alta velo­ci­tà lo inchio­dò pra­ti­ca­men­te a ter­ra, sca­ra­ven­ta­do­lo poi giù per le sca­le. Ese­guii un rapi­do rica­ri­ca­men­to tat­ti­co, riaf­fer­rai Bri, che tene­va le mani sul­le orec­chie e dissi:

“Andia­mo, corri!”

Per­cor­si il resto del­la ram­pa, sal­tan­do pra­ti­ca­men­te i gra­di­ni. Bri mi seguì dap­pres­so, con solo un atti­mo di esi­ta­zio­ne al momen­to di sca­val­ca­re il cada­ve­re del­l’uo­mo che ave­vo appe­na abbat­tu­to. Appe­na arri­va­ti al pri­mo pia­no mi arre­stai di col­po. Non ave­va sen­so cer­ca­re di usci­re dal­la por­ta prin­ci­pa­le. Ce ne dove­va­no esse­re degli altri ad aspet­tar­ci. Non ci pen­sai su due vol­te; spa­rai un col­po ver­so la por­ta di sicu­rez­za, infi­lai un brac­cio nel buco gros­so come un pal­lo­ne da cal­cio e sgan­ciai la mani­glia di sicu­rez­za, spa­lan­can­do il bat­ten­te. Feci un bre­vis­si­mo capo­li­no per con­trol­la­re, ma lì sot­to la situa­zio­ne era nor­ma­le; era­va­mo dal­la par­te oppo­sta rispet­to al lato in cui si tro­va­va il cec­chi­no, ed evi­den­te­men­te se c’e­ra qual­cu­no ad aspet­tar­ci era vici­no all’uscita.
Richia­mai alla men­te la pla­ni­me­tria del par­cheg­gio. Ave­vo di fron­te il lato ove­st, e se non ricor­da­vo male pro­prio da quel­la par­te dove­va esser­ci il bas­so tet­to di un capannore.

“Vie­ni” dis­si, e cor­si ver­so i fine­stro­ni, oscu­ra­ti dal­lo smog depo­si­ta­to­si in anni di man­ca­ta manu­ten­zio­ne. La mani­glia era bloc­ca­ta dal­la rug­gi­ne, ma due col­pi dati col cal­cio del­la Grizz­ly la sbloc­ca­ro­no. Tirai imme­dia­ta­men­te un sospi­ro di sol­lie­vo quan­do vidi che non c’e­ra più di un metro di sal­to da fare.

“Sbri­ga­ti! Sali e sal­ta sul tet­to!” dis­si mez­zo tiran­do e mez­zo spin­gen­do Bri

“Ma mi ammaz­zo, tu sei tut­to sce­mo!” Mi sta­vo giu­sto chie­den­do quan­do avreb­be ini­zia­to a per­de­re colpi.

“Non abbia­mo mol­to tem­po! Pre­fe­ri­sci fare la fine dell’emmenthal?”

“Ma, io…” ini­ziò lei. Un clas­si­co; la vole­va discu­te­re. Non per­si altro tem­po. Le pun­tai la Grizz­ly in fac­cia, con l’e­spres­sio­ne più geli­da che mi riu­scì di met­te­re in piedi.

“O sal­ti o ti sten­do qui e ora!” Par­lai a voce bas­sis­si­ma, ma fu come se aves­si urla­to. La sua espres­sio­ne si sciol­se, come se sul­la fac­cia aves­se avu­to una masche­ra di cera. Pote­vo capir­lo. Il buco del­la mia pisto­la spia­na­to in fac­cia face­va spes­so quel­l’ef­fet­to. Guar­dan­do­mi di sbie­co, e con un discre­to tre­mo­re, cer­cò di sali­re sul bor­do del fine­stro­ne, ma era mol­to in alto per lei.

“Non ce la fac­cio!” Pia­gnu­co­lò. Non mi feci inti­mi­di­re. Feci solo un gesto con la Grizzly:

“Vuoi che ti aiu­ti con que­sta?” rin­ghiai. Otten­ni l’ef­fet­to spe­ra­to. Digri­gnan­do i den­ti e bofon­chian­do un “Bastar­do!” a mez­ze lab­bra, salì sul davan­za­le con qual­che goffaggine.

“For­za, sal­ta!” dovet­ti spro­nar­la nuo­va­men­te. Allo­ra lei sal­tò, atter­ran­do mala­men­te sul tet­to appe­na sot­to. Temet­ti che si fos­se slo­ga­ta una cavi­glia, ma quan­do si rimi­se in pie­di tirai un sospi­ro di sol­lie­vo, e sal­tai a mia volta.

“Ades­so cor­ri se ci tie­ni alla vita e alla liber­tà!” La affer­rai per una mano e par­tii in cor­sa. Lei die­de un tale strap­po al brac­cio che qua­si mi but­tò a terra.

“No!” gri­dò “C’è la poli­zia la sot­to.” urlò cor­ren­do ver­so il limi­te del tet­to. Mi tuf­fai a pesce, e riu­scii a plac­car­la. Lei ini­ziò a stril­la­re e a mar­tel­lar­mi di pugni. Il che con­si­de­ra­to l’al­le­na­men­to che ave­va non fu mol­to pia­ce­vo­le. Ci misi for­se cin­que secon­di ad immobilizzarla.

“Ma qual poli­zia! Non ti ren­di con­to che li han­no fat­ti fuo­ri come vole­va­no fare con noi?”

Lei si agi­tò anco­ra, ma le tene­vo le brac­cia inchio­da­te a ter­ra, ai lati del­la testa.

“Non ti accor­gi che non si sen­to­no più le sire­ne? Sono anda­ti! Kaputt! Fottuti!”

A quel pun­to Bri sem­brò cal­mar­si. Si era resa con­to che dice­vo la veri­tà. Il pas­so suc­ces­si­vo era scon­ta­to: le lacri­me ini­zia­ro­no a far­si stra­da dal­le sue pal­pe­bre. Ma era un lus­so che nes­su­no dei due pote­va per­met­ter­si. La rimi­si in pie­di d’autorità.

“Devi fidar­ti di me se vuoi rima­ne­re in vita!” le dis­si con tono un filo più dol­ce, libe­ran­do­le i pol­si. Lei esi­tò un atti­mo, poi annuì.

“For­za, cor­ri!” Nuo­va­men­te la pre­si per mano e mi misi a cor­re­re lun­go il tet­to, stan­do il più lon­ta­no pos­si­bi­le dal bordo.

Dopo ven­ti metri c’e­ra un lucer­na­rio. Lo for­zai con faci­li­tà; come spe­ra­vo c’e­ra una sca­la di scu­rez­za. Scen­dem­mo entram­bi nel­la penom­bra del­l’in­ter­no, rischia­ra­ta appe­na dal­le luci del­l’il­lu­mi­na­zio­ne stra­da­le. Seguii cie­ca­men­te il mio sen­so d’o­rien­ta­men­to, aggi­ran­do muc­chi di cas­se e altre cose indi­stin­gui­bi­li, e la gui­dai fino alla pare­te nord, seguen­do­la fino a che non incon­tram­mo una por­ta. Ci misi die­ci secon­di a for­zar­ne la ser­ra­tu­ra, poi l’a­prii di un paio di cen­ti­me­tri; la stra­da sem­bra­va sgombra.

“Via libe­ra!” dis­si. Uscim­mo entram­bi in una minu­sco­la via late­ra­le. Alla nostra destra si udi­ro­no altre sire­ne in avvicinamento.

“Que­sti sono vigi­li del fuo­co!” dis­se Bri, che nel frat­tem­po ave­va ripre­so il suo pie­no controllo.

“Dob­bia­mo spa­ri­re da qui. Vie­ni!” Mi dires­si ver­so il lato oppo­sto, la ragaz­za sem­pre alle mie spal­le che mi tal­lo­na­va. A quan­to pare­va ave­va deci­so di fidarsi.

- CONTINUA -

p.s. Stre­ga, a te la pal­la… voglio vede­re come te la cavi!

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Alb

Ora mi è chia­ro. Qui si scri­ve a quat­tro mani. Voglio vede­re dove anda­te a fini­re tu e Strega!